I ragazzi della scuola media Vailati di Crema, sequestrati su un bus il 20 marzo scorso, posano insieme ai carabinieri che li hanno salvati nel cortile del loro istituto. Domani, insieme alle loro famiglie, saranno accolti da papa Francesco in San Pietro (Ansa)
Per chi ha ripercorso la strada verso Milano – e da Crema lo fanno in tanti ogni giorno, per ragioni di lavoro – la macchia nera di bruciato è rimasta sull’asfalto della Paullese come un fantasma, e anche un monito. È difficile spiegarlo, per le mamme della media Vailati, riunite nella sala di presidenza della scuola per gli ultimi preparativi prima dell’udienza col Papa di domani. In cui per la prima volta, a due mesi dal dramma del bus dirottato con a bordo i loro figli, saranno i “grandi” in prima fila. «Quell’evento, che ci ha cambiato per sempre, è un incubo e insieme una nuova ragione di vita» inizia Francesca, gli occhi subito lucidi. «Perché il male che ci ha sfiorato – noi, e i nostri ragazzi –, non potremo più cancellarlo. Ma il bene che quel dramma ha portato con sé è talmente grande da averci spinto, tutti insieme, a decidere di dire grazie».
C’è tanto bene da raccontare, lontano dalle polemiche sulla cittadinanza per i piccoli “eroi” (Ramy ed Adam) che hanno monopolizzato l’attenzione del Paese subito dopo la tragedia mancata. «E che ha finito col togliere a tutto quello che è accaduto l’aspetto umano. Adesso crediamo sia giusto sottolinearlo, alla vigilia di questo incontro con papa Francesco che per noi è davvero il momento più significativo da quel 20 marzo e a cui parteciperanno tutti, indipendentemente dal proprio credo».
Non i biglietti per le partite di calcio, non gli inviti in tv, non il desiderio di rivalsa per l’accaduto. Il primo pensiero corre ai volti che non si sono mai visti. Come quelli dei due insegnanti di educazione fisica che quella mattina viaggiavano sul bus, e dell’ausiliaria. L’autista, Ousseynou Sy, a un certo punto del suo folle piano costrinse gli uomini a legare i ragazzi ai polsi, la donna a spargere la benzina su sedili e moquette: «Qualcosa di sconvolgente, per chi come noi ha la responsabilità dei piccoli» racconta Emanuela, la docente di religione. Il nastro si riavvolge fino a quella mattina: i due prof con le fascette fanno passare uno ad uno i ragazzi, accennano con lo sguardo a come liberarsi, stringendo poco la morsa e accarezzando le mani tremanti; la bidella finge di far cadere la tanica giù dalla scaletta per disperdere la benzina, non importa l’uomo con l’accendino che la minaccia. E poi la frase ripetuta e ripetuta decine di volte: «Questi ragazzi non ti hanno fatto niente, guardali, guardali in faccia!». Senza i due prof e la bidella i ragazzi, sul bus della scuola, non sono voluti più salire.
«I primi tempi c’è stata molta discussione sulla possibilità di sopprimere il servizio navetta, che da sempre porta i nostri studenti dalla scuola alla palestra, a pochi minuti di distanza da qui» spiega la dirigente, Maria Cristina Rabbaglio. Poi è arrivata la prima “lezione” dei piccoli ai grandi: «Ci hanno detto che volevano salirci ancora, ma tutti insieme, nessuno escluso». E la prima volta, sul bus per la palestra, i ragazzi della Vailati sono saliti – mano nella mano, stringendosi forte – tutti e 51. Compresa Camilla, l’unica assente quel giorno, che al percorso di “ricostruzione” dei suoi compagni ha voluto partecipare fin dal primo giorno «perché prof io c’ero. È successo anche a me».
La forza della squadra. Gli psicologi intervenuti a supporto della scuola subito dopo il dirottamento – la stessa task force intervenuta a L’Aquila, Brindisi e l’estate scorsa a Genova, guidata dallo psicoterapeuta Federico Bianchi di Castelbianco – hanno riscontrato da subito questa particolarità nel dramma di Crema. Oltre a quella che qui, miracolosamente, non ci sono stati lutti. E di miracolo, senza timore, parlano le famiglie dei ragazzi e la stessa dirigente: «Noi tutti sentiamo di aver avuto un dono, una grazia, quel giorno» spiega un’altra mamma, Rachele. Insieme alle altre lo ha scritto nella lettera che domani consegneranno a mano al Papa, e che parla anche di Maria, a cui è dedicata la via in cui si trova la palestra della Vailati: «I nostri figli sono nell’anno della cresima... Il primo miracolo che abbiamo avuto noi, con la nostra Chiara, è proprio quello di averla vista fare la cresima, due domeniche fa». Lei, Chiara, ha voluto leggere in chiesa, per dire “grazie”.
Anche a chi, della sua parrocchia, ha pregato per lei quel giorno «perché un’altra cosa che nessuno sa è la vicinanza e la solidarietà da cui siamo stati investiti in quell’ora e quindici minuti di terrore, nelle ore e nei giorni successivi» continua la dirigente. A cominciare dai “buoni samaritani” incontrati sulla Paullese dai ragazzi: donne e uomini alla guida delle macchine coinvolte nell’ingorgo che sono scesi ad abbracciare i ragazzi, a parlare con loro, a prestare i cellulari per chiamare le famiglie: «Quelle persone sono state madri e padri lì dove noi non potevamo esserlo – spiega ancora Rachele –, madri e padri al posto nostro. Mia figlia è rimasta per due ore con una sconosciuta che l’ha medicata, accompagnata all’ospedale, che si è presa cura di lei. Anche questo lo considero un miracolo».
E ancora, i carabinieri, gli amici inseparabili di cui i ragazzi continuano a parlare ogni giorno, in classe: «Li chiamano per nome, gli scrivono – continua la dirigente –, il prossimo 5 giungo li incontreranno di nuovo a Milano, per la festa dell’Arma, dove le nostre classi saranno ospiti d’onore». Anche questo, la dirigente, ha concesso «perché è stato un anno complicatissimo, la didattica ha dovuto adattarsi a quello che ci è successo. Ma il legame che si è formato quel giorno con chi ha salvato i nostri ragazzi durerà per sempre e va onorato». Per sempre resterà anche lo sgomento, il senso di impotenza, la rabbia: «Di noi grandi però – continuano le mamme della Vailati – perché anche in questo caso i nostri ragazzi hanno saputo stupirci». Il 21 marzo, il giorno dopo la tragedia sfiorata, hanno voluto essere presenti a scuola, quasi tutti. E Marco è saltato su all’improvviso durante l’ora di religione: «Prof, ma lo sa quant’era disperato quell’uomo che ci ha presi?». «Da loro non abbiamo mai sentito una parola di odio, di risentimento. E anche in questo ci hanno dato una lezione: quella del perdono».
Sulla cittadinanza a Ramy ed Adam continua il rimpallo tra le istituzioni
Ad attirare l’attenzione dei media nei giorni immediatamente successivi al dramma del bus dirottato di Crema è stata soprattutto la vicenda di Ramy ed Adam, i due ragazzi di origini egiziane che durante i momenti concitati del dirottamento avevano avuto la prontezza d’animo di tenere nascosti in tasca i cellulari, per poi allertare per primi i soccorsi. Sulla possibilità di concedere loro la cittadinanza italiana il ministro dell’Interno, Matteo Salvini, aveva espresso qualche riserva iniziale per poi promettere, il 26 marzo, che avrebbe fatto di tutto per concederla. A oggi quella promessa non è stata ancora mantenuta. L’ultima volta che il vicepremier ha parlato dei due ragazzi è stato il 17 maggio scorso, spiegando che «sulla cittadinanza a Ramy e Adam il governo sto aspettando il ministero degli Esteri. Io ho dato il mio ok, sono di parola, poi però ci sono dei percorsi, c’è la Farnesina che sta istruendo la pratica. Se hanno pazienza...».