A Napoli, un gruppo di studenti delle medie, durante la proiezione del film sul caro Giancarlo Siani, Fortapàsc, applaude nel momento in cui il giornalista viene ucciso da un killer inviato dalla camorra. Triste. L’episodio in breve tempo fa il giro delle redazioni e del web. lo stesso vengo contattato da una rete televisiva nazionale per un parere. Non posso, sono già impegnato, ma non nascondo che mi fa piacere non intervenire in un pubblico dibattito.
Gli stereotipi sono tardi a morire, e i tempi della televisione sono sempre esageratamente avari. Non c’è giorno in cui non sono ospite in una scuola, elementare, media, superiore - perdonate la vecchia nomenclatura, ma la preferisco a quella più recente - fino all'università. I giovani che incontro sono spigliati, intelligenti, disponibili, attenti. Il vero problema è che, tante volte, nei loro confronti, a noi adulti, manca la cosa più importante: l’esempio. Non sempre coniughiamo le parole con i fatti. Detto questo, sempre, in ogni scuola, ho trovato studenti pronti ad ascoltare, chiedere, intervenire. Sempre ne sono scaturiti ottimi incontri formativi. Mai, nemmeno una volta sola, ho trovato ragazzi che inneggiavano alla camorra, alla 'ndrangheta, alla mafia.
Se, però, alle immense figure di Falcone e Borsellino, fossimo capaci di aggiungere i tantissimi altri nomi di persone cadute per le brutte mani dei mafiosi, che facciamo fatica a ricordare, sarebbe una buona cosa. Se la smettessimo di presentare certi squallidi personaggi - e non mi riferisco solo ai mafiosi - alla stregua di eroi che tutto possono, tutto ottengono con i loro discutibilissimi metodi; se ci convincessimo di prendere a modello non solo i grandi eroi - o, per chi crede, i grandi santi martiri - ma la gente comune, i genitori, i vicini di casa. il parroco, il sindaco del paese, il fornaio, che, onestamente, caparbiamente, coraggiosamente, ogni giorno, a ogni ora del giorno, stanno al loro posto, fermi, fedeli al loro mandato, alla loro vocazione, senza clamori, lontani dalle telecamere, sarebbe, ancora una volta, cosa buona e giusta.
No, non sono eccessivamente preoccupato per il gruppetto che ha applaudito alla morte di Siani. Oso pensare che alla stregua di tanti coetanei e tanti adulti, altro non cercava che un po’ di pubblicità. E come fare, oggi, per uscire dall’anonimato e avere un momento di gloria tra gli amici o sui social? La strada è sempre la stessa: andare controcorrente. Già controcorrente, prima, però, bisognerebbe intendersi su che cosa e verso dove va la corrente. Ma c’è qualcosa che mi preoccupa? Certamente, e tanto, anzi tantissimo. Mi preoccupa il pessimo esempio che il mondo degli adulti sta dando a questi poveri ragazzi con le orribili guerre combattute fuori casa loro. Mi addolora il cinismo di tanti produttori e commercianti di armi che si leccano i baffi per gli affari che vanno a gonfie vele. Mi sconcerta chi parla del diritto all’aborto sorvolando di sana pianta sulla sorte riservata al piccino che non avrà mai più la gioia di venire al mondo. Bello il documento del Dicastero per la Dottrina della Fede, uscito in questi giorni, "Dignitas infinita".
Dignità ontologica che non dipende dalla nostra condizione economica, dal Paese in cui siamo nati, dalla salute, dall'età, dal quoziente intellettivo, ma che è inscritta nel nostra stesso Dna. Dignità che non sboccia il giorno della nascita ma nel momento stesso del concepimento. Mi angoscia - e tanto - il dramma della pedofilia e della pedopornografia di cui si parla sempre tanto poco e non si capisce il perché. Mi addolorano i morti sul lavoro, le donne trucidate dai maschi che dicevano di amarle. Ho incontrato migliaia di ragazzi nelle scuole e altri sono in calendario. Sempre faccio ritorno a casa con il cuore gonfio di riconoscenza e di speranza. Sempre termino l’incontro col chiedere loro perdono per tutte le volte che dal mondo degli adulti non hanno ricevuto gli esempi cui avevano diritto. Mi dispiace per i ragazzi che hanno applaudito durante il filmato sul caro Siani. Sono pronto a incontrarli. Sono certo che se sapremo ascoltarli finiranno col chiedere scusa e confessare il disagio che li accompagna. Avremo, noi adulti, il coraggio di gettare la maschera e reggere il confronto?