giovedì 8 agosto 2024
Gli abbonamenti annuali dell'Azienda trasporti milanese per i giovani sono scontati del 40% nel Capoluogo, solo del 25% nell'hinterland. Non dipende dall'Atm, ma da un vuoto di rappresentanza
La mappa delle zone del Sistema tariffario integrato del bacino di Mobilità

La mappa delle zone del Sistema tariffario integrato del bacino di Mobilità

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Nelle tariffe degli abbonamenti Atm c’è una curiosa discriminazione di cui sono vittime gli studenti e le famiglie dell’hinterland di Milano. Non è una cosa voluta dall’Azienda Trasporti Milanese, lo diciamo subito, perché i prezzi di biglietti e abbonamenti non dipendono dalla società che fa circolare i mezzi, ma sono l’esito di un complesso sistema di calcoli in capo all’Agenzia per il trasporto locale. Sta di fatto che mentre i cittadini di Milano possono beneficiare di generosi sconti per i giovani con meno di 27 anni, oltre a vantaggi per le famiglie con tre o più figli, chi vive al di fuori delle “mura” della città non gode degli stessi privilegi.
Per capire dove sta il problema bisogna ricorrere ai numeri. Un abbonamento ordinario annuale Atm per chi deve spostarsi in città costa 330 euro. Per chi ha meno di 27 anni la tariffa scende a 200 euro, con uno sconto del 40%. Per le famiglie numerose, con almeno tre figli, il prezzo del titolo di trasporto è ancora più basso, 165 euro, dunque il 20% in meno rispetto alla tariffa per i giovani e il 50% in meno sul prezzo pieno.

Si tratta di tariffe competitive, che premiano in modo apprezzabile gli studenti, i giovani, ma anche le famiglie con più figli a carico. Questo vantaggio, però, non è riconosciuto allo stesso modo a chi vive fuori Milano. Le tariffe di biglietti e abbonamenti seguono uno schema a zone per cerchi concentrici: più si è distanti da Milano e più si paga. Ad esempio, per chi abita nella prima fascia definita M1-M3 (quella in cui si trovano i comuni di Sesto San Giovanni, Cologno Monzese, Rozzano, Assago…) l’abbonamento annuale costa 460 euro. Fin qui niente da rilevare, è il 40% in più della tariffa milanese, ma i comuni sono più lontani, anche se a volte solo di una fermata di Metrò. Il problema è che l’abbonamento scontato per giovani (che fuori città è per minori di 26 anni, mentre a Milano è per minori di 27) viene a costare 346 euro, che è solo il 25% in meno rispetto al prezzo pieno, e non il 40% in meno come nel capoluogo.

Lo stesso vale per la seconda fascia esterna, la M1-M4 (quella di Brugherio e Trezzano per capirci) dove l’abbonamento annuale costa 552 euro a prezzo pieno e 414 euro per i minori di 26 anni, anche in questo caso solo il 25% in meno.
E cosa succede agli abbonamenti per le famiglie numerose? Niente: fuori Milano non sono previsti. Volendo fare un ulteriore calcolo, se lo stesso sistema di sconti in vigore a Milano fosse applicato nella Città Metropolitana, nella prima fascia l’abbonamento dovrebbe costare 276 euro l’anno anziché 346, e addirittura solo 230 euro per le famiglie con 3 o più figli.

Da cosa dipende questa discriminazione tra la città e il suo hinterland? Per capirlo bisogna tenere presente che la decisione su livelli tariffari e titoli di viaggio è in capo all’Agenzia per il Trasporto pubblico locale di bacino, ente pubblico partecipato dai comuni di Milano, Monza, Lodi, Pavia, dalla Città Metropolitana di Milano, dalle province di Monza e della Brianza, di Lodi e Pavia e dalla Regione Lombardia. L’Agenzia definisce il Sistema tariffario integrato del Bacino di Mobilità (Stibm) sulla base di calcoli che tengono conto di vari elementi: economici, sociali, demografici, di mobilità.

È in questa sede che, ad esempio, lo scorso anno si è deciso di mantenere fermo il prezzo di base del biglietto a 2,20 euro, utilizzando risorse comunali e della Città Metropolitana per tamponare l’adeguamento all’inflazione Istat chiesto dalla Regione. Ed è sempre qui che si definiscono i vari livelli delle agevolazioni, o gli sconti legati all’Isee per le famiglie povere.

Se il capoluogo riesce a offrire sconti migliori è semplicemente perché il Comune di Milano stanzia risorse proprie, rinunciando a possibili maggiori introiti derivanti dalla vendita di biglietti e abbonamenti Atm. In teoria anche gli altri comuni dell’hinterland potrebbero fare lo stesso, ma c’è un chiaro problema di risorse oltre che di rappresentanza. Anche la Città Metropolitana, che è guidata sempre dal Primo cittadino del capoluogo, se fosse dotata di risorse e funzioni maggiori (o forse anche solo di un sindaco eletto direttamente) potrebbe garantire meglio l’uniformità dei vantaggi a beneficio delle famiglie. Una mano potrebbe giungere, in futuro, anche dai nuovi bandi di gara, che dovrebbero prevedere contratti del tipo “gross cost”, nel quale le entrate delle vendite dei biglietti sono incamerate dalle amministrazioni, che solo in seguito pagherebbero i concessionari per il servizio di trasporto, come attualmente avviene per il Comune di Milano.

Al momento si può solo rilevare la disparità di trattamento tra le famiglie di Milano e quelle del suo hinterland, e augurarsi che qualcuno ci metta la testa: se non altro per stemperare l’immagine di una “cinta” medievale posta a separare il capoluogo dai territori all’esterno, che anche altre circostanze contribuiscono ad alimentare. Consapevoli, però, che dal prossimo anno ricomincerà la partita per l’aumento del prezzo dei biglietti singoli. E questa volta sarà difficile che tutto resti com’è.

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