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Per il sindacato dei giornalisti è una «norma bavaglio» che comprime la libertà di stampa e rende più difficile la diffusione di notizie giudiziarie riguardanti gli indagati “illustri”. Per gli avvocati penalisti e per il ministro della Giustizia Carlo Nordio, per il centrodestra e per i liberaldemocratici di opposizione è un paletto a garanzia della presunzione d’innocenza sancita dalla Costituzione. Fatto sta che, nel Consiglio dei ministri di mercoledì, il governo ha esercitato la delega inserita nella legge 21/2024 (di delegazione europea) in cui si prevede «il divieto di pubblicazione integrale o per estratto del testo dell’ordinanza di custodia cautelare finché non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare».
Il decreto legislativo approvato dal Cdm dovrà ora passare al vaglio delle commissioni parlamentari competenti. E, anche se il parere delle stesse commissioni non è vincolante, è facile prevedere sedute burrascose.
Già giovedì, appena diffusa la notizia del decreto legislativo, il senatore del Pd Filippo Sensi ha accusato l’esecutivo con un post sui social: «Vedo che il governo ci riprova con il bavaglio ai giornalisti, sono riflessi condizionati che scattano e che vanno respinti. Dalla parte della libertà di stampa. Sempre», ha scritto. Subito dopo è intervenuto l’eurodeputato e responsabile informazione dei dem, Sandro Ruotolo, che ha parlato di «un ceffone alla libertà di stampa» da parte di un governo «che ha il tic della censura».
Mentre il loro collega deputato di Azione Enrico Costa, che pur non essendo nella maggioranza fu l’autore dell’emendamento (poi recepito e approvato dalle forze che sostengono il governo) da cui è scaturita la norma, ha commentato con soddisfazione. E ha nuovamente spiegato lo spirito della sua iniziativa: «Le ordinanze di custodia cautelare contengono solo le accuse; la voce della difesa non c’è, perché la difesa al limite ricorrerà quando saranno già su tutti i giornali. È evidente che una persona schiacciata da un simile “peso” reso pubblico con centinaia di pagine di motivazioni, quand’anche ottenesse, dopo settimane, l’annullamento dal riesame, o, dopo mesi, l’archiviazione non riuscirebbe a capovolgere il racconto. Peggio ancora se arrivasse un’assoluzione dopo anni».
Non la pensa così, come già accennato, la Federazione nazionale della stampa (Fnsi), che ieri è tornata all’attacco con il presidente Vittorio Di Trapani: «Questo governo continua a smantellare l’articolo 21 della Costituzione. Mentre tiene in ostaggio la Rai perché impantanato nella guerra per spartirsi le poltrone, mentre ottiene 15 minuti in prima serata per l’intervista auto-assolutoria di un ministro ex dirigente Rai, il governo trova il tempo di imporre un nuovo bavaglio alla stampa e ai cittadini, che saranno meno informati». Secondo Di Trapani, si tratta di «un ritorno al passato che nulla ha a che vedere con il garantismo. In realtà il divieto di pubblicare le ordinanze di custodia cautelare è un piacere ai potenti che vogliono l’oscurità e ai colletti bianchi».
Finora le ordinanze di custodia cautelare erano pubblicabili sui giornali e online, integralmente o per brani, senza alcun limite. Con le nuove regole, invece, si potrà riferire il per riassunto contenuto dell’atto giudiziario, quindi dare la notizia, scrivere il nome del destinatario della misura restrittiva e le ragioni che hanno portato alla sua emissione, ma senza poter pubblicare i virgolettati del provvedimento. Soltanto il capo d’imputazione potrà essere riportato per esteso.