Il nuovo "Mims" che include anche la mobilità sostenibile avrà a disposizione risorse pari a 62 miliardi in 5 anni: «Questa volta sono accompagnate da assunzioni di qualità nelle stazioni appaltanti» - Ansa
Alta velocità ferroviaria, soprattutto al Sud. Metropolitane, piste ciclabili, porti, navi green. E poi interventi sull’edilizia popolare per migliorare la qualità dell’abitare, digitalizzazione per la sicurezza di strade e autostrade: il Ministero delle infrastrutture e mobilità sostenibili, Mims, come Enrico Giovannini ha rinominato il vecchio "Mit", avrà un ruolo cruciale nell’attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. «Ma il Pnrr – premette il ministro, già portavoce e anima dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile – è solo l’inizio di un processo che prevede investimenti senza precedenti per la costruzione e la riqualificazione di infrastrutture, per la mobilità sostenibile, per rafforzare la competitività delle imprese e migliorare la qualità del lavoro e della vita delle persone». I progetti del Mims si finanziano per 41 miliardi con le risorse europee del Next Generation Eu (40,7 miliardi) e con quelle del React Eu (313 milioni). Si aggiungono risorse nazionali per quasi 21 miliardi di euro, 10,6 dal Fondo complementare e 10,3 dallo scostamento di bilancio.
Ministro, fanno 62 miliardi da spendere in 5 anni, quando per una grande opera, in Italia, se va bene, ne servono 10 e talvolta non ne bastano 15.
I fondi nazionali perseguono i medesimi obiettivi di quelli europei, ma in alcuni casi finanziano progetti relativi a un orizzonte temporale più lungo rispetto al termine del 2026 imposto dal Pnrr, come il completamento dell’AV Salerno-Reggio Calabria.
Anche con un orizzonte più ampio, 15 anni per un’infrastruttura portante sarebbero comunque troppi. Perché questa volta dovrebbe essere diverso? Come superare la palude burocratica in cui tanto, a volte sembra tutto, finisce alla fine per impantanarsi?
Perché questa volta l’investimento è accompagnato da assunzioni di qualità nelle stazioni appaltanti, cioè un investimento sulle persone, avendo a disposizione un mix irripetibile di fondi ordinari e straordinari. In secondo luogo, abbiamo inserito nel Piano soltanto quelle opere che ragionevolmente pensiamo di poter realizzare entro i termini previsti. Ciononostante, è necessario operare lungo tutta la filiera, che trasforma un’idea in progetti di fattibilità, poi in progetti esecutivi e infine in gare. La soluzione, quindi, non è solo fare più rapidamente, ma è dotare le stazioni appaltanti di risorse umane in grado di fare buoni progetti e bandi. Anche sul fronte delle autorizzazioni, sicurezza e impatto ambientale e sul paesaggio, al di là di miglioramenti procedurali che abbiamo già identificato, si tratta di mettere più persone a fare questo lavoro.
Basterà?
Non ancora. Per questo è in arrivo a maggio il decreto per velocizzare e semplificare le procedure. Infine, verrà presentato in Parlamento un disegno di legge delega per la riforma del Codice degli appalti.
Ci sono poi i cittadini da coinvolgere. Riforme e investimenti "epocali" non possono funzionare senza un consenso diffuso. Perché una persona comune dovrebbe pensare che il Pnrr rappresenti veramente una svolta che lo riguarda?
Prendiamo l’esempio dell’Alta Velocità: ha cambiato il modo di vivere e lavorare di tante persone nel Centro e Nord Italia. Lei si ricorda quando non c’era l’AV?
La pandemia credo ci abbia insegnato due cose: che i cambiamenti sono sistemici e che non sono lineari. Dovremo essere capaci di sviluppare sistemi resilienti e flessibili, in base proprio alla rapidità dei cambiamenti. L’introduzione del Mobility manager nelle aziende e per le città con più di 50mila abitanti va in questa direzione
Direi che la dò per scontata.
Vent’anni fa molti pensavano che sarebbero stati gli aeroporti a unire sempre più il Paese. Oggi sappiamo che è il treno. Ci sono addirittura persone che hanno scelto di cambiare città grazie all’AV. Un cittadino del Sud dovrebbe avere la stessa possibilità di scelta. E infatti il 56% delle risorse (34,7 miliardi) è destinata a interventi nel Mezzogiorno, per ridurre una disuguaglianza territoriale che non ci possiamo più permettere.
Anche se non compare nel Pnrr, il Ponte sullo Stretto continua a dividere non solo la politica, ma anche l’opinione pubblica. Vent’anni fa, probabilmente, non serviva. Oggi?
Oggi c’è la novità dell’AV Salerno-Reggio Calabria, inserita nel Pnrr, oltre la Palermo-catania-Messina. Abbiamo inviato al Parlamento la relazione tecnica del gruppo di lavoro istituito ad hoc dall’amministrazione che ci ha preceduto, in cui si suggerisce un ponte a una o più campate, ma previo uno studio di fattibilità tecnico-economica. Poi sarà fondamentale il dibattito pubblico, così come previsto dalla Legge, con il coinvolgimento di istituzioni e enti territoriali. Proprio in questi giorni c’è un evento sul Terzo valico dei Giovi durante il quale vengono presentate quelle che chiamiamo "opere di compensazione", ma che sarebbe meglio chiamare "opere di accompagnamento" concordate con i sindaci: interventi fondamentali sulle ciclovie, miglioramento della logistica, iniziative che impattano sulla qualità della vita delle persone.
L’Alta Velocità non arriva ovunque.
La logica resta quella del superamento dei divari territoriali, non solo Nord-Sud, ma anche fra aree interne e dorsali rapide. Per questo la cura del ferro coinvolge le tratte regionali. Ci sono poi 300 milioni per le strade provinciali nelle aree interne e gli 8,4 miliardi per la trasformazione ecologica del Trasporto pubblico locale.
Condividete con alti ministeri alcune "mission": anche il Mims dispone ad esempio di 3,4 miliardi per l’inclusione sociale. In che ambito?
Sono i fondi per la qualità dell’abitare che si aggiungono a risorse già esistenti per ridurre la povertà energetica, migliorare le abitazioni e gli spazi comuni, per l’efficientamento energetico, per la riqualificazione di quartieri e case popolari; sono oltre 2 miliardi, il 50% nel Sud. Sono anche queste cose che cambiano la vita delle persone.
Il Piano nazionale è solo l’inizio di un processo che prevede investimenti senza precedenti:
Il lockdown ha posto in effetti l’accento su cosa possa significare la qualità dell’abitare.
Quando l’anno scorso si segnalava la condizione disagiata di molte abitazioni in cui famiglie numerose dovevano collegarsi simultaneamente per lavoro e scuola, ci si è resi conto di cosa significhi una situazione abitativa difficile. Ebbene, le risorse del Pnrr consentono di moltiplicare interventi di riqualificazione delle abitazioni e degli spazi, a cui si possono aggiungere, in presenza di progetti innovativi, anche le Risorse di Comuni e Regioni. E indirizzare a questo una parte degli 80 miliardi di Fondi comunitari del periodo 2021-2027.
A proposito di progetti condivisi con altri Ministeri: come va la collaborazione tra voi tecnici in questo governo politico supportato da però da una maggioranza composita?
Lo spirito è di grande collaborazione. Sentiamo che la partita si vince o si perde insieme.
Si chiede giustamente che questa fase di sviluppo, anche infrastrutturale, sia sostenibile. C’è chi vorrebbe che lo fosse subito, in campo energetico, ad esempio, senza troppe transizioni. Prendiamo i dubbi degli ambientalisti sulla cattura e lo stoccaggio della CO2 per la produzione dell’idrogeno blu.
Altri Paesi vanno in questa direzione, quindi le imprese stanno investendo in tecnologia. Naturalmente l’idrogeno verde oggi si può applicare in alcuni campi, come quello del trasporto ferroviario, mentre più difficile, date le attuali conoscenze tecnologiche, è l’applicazione in altri ambiti della mobilità. Per questo ci sono fondi per la ricerca. Sarà interessante anche vedere il quadro che emergerà dalla sintesi dei diversi Pnrr nazionali per capire come i singoli Paesi stanno affrontando questi grandi cambiamenti che interessano le infrastrutture.
Il problema in questo caso è conciliare la sostenibilità ambientale con quella sociale. Il caso dei "gilet gialli" in Francia è emblematico.
La pandemia credo ci abbia insegnato due cose: che i cambiamenti sono sistemici e che non sono lineari. Lo smart working, ad esempio, resterà, almeno in parte. Perché nel frattempo le persone si sono adattate a uno stile di vita diverso, anche nelle abitudini di spostamento. Questo comporta una revisione dei piani: l’ultimo Piano integrato logistica e trasporti di questo Paese risale al 2001, un’era geologica fa. Contiamo di aggiornarlo a breve insieme al Piano nazionale integrato energia e clima (Pniec) cui sta lavorando il ministro Cingolani per adeguarlo ai nuovi obiettivi europei. In ogni caso, dovremo essere capaci di sviluppare sistemi resilienti e flessibili, in base proprio alla rapidità dei cambiamenti. L’introduzione della figura del Mobility manager nelle imprese e amministrazioni per le città con più di 50mila abitanti va in questa direzione.
Nel suo Ministero rientrano anche i porti, sui quali per altro si investono 1,5 miliardi. C’è chi vorrebbe chiuderli per fermare i flussi migratori.
Credo che l’ampia intervista sul vostro quotidiano (12 maggio, ndr) alla ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese, e le dichiarazioni del presidente del Consiglio Mario Draghi in Parlamento abbiano chiarito l’orientamento del governo: ritengo non ci sia altro da aggiungere.