Monsignor Rino Fisichella - P. C.
Alternative al carcere, giustizia riparativa e il Giubileo, che può essere un’occasione grande, grandissima, per credenti e non. L’idea è semplice e l’arcivescovo Rino Fisichella la spiega proprio al convegno nazionale dei cappellani e degli operatori per la pastorale sanitaria che si svolge dall'altro ieri ad Assisi: «Nel millennio che ci sta davanti - dice - determinato dal progresso della tecnica, da una cultura come quella digitale, che consente di sapere dove sei in qualsiasi momento e anche di sapere cosa stai facendo, perché non pensare a strutturare misure alternative, anziché pensare di costruire nuove carceri? Questo è il mio dilemma». E l’ipotesi è, «sì, ti privo della tua libertà, ma nella tua casa». Ancora: «Ma possibile che con tutta la tecnologia che c’è e ci sarà sempre più nel futuro, non possiamo trovare forme alternative perché chi ha commesso il reato possa più facilmente essere redento?».
Va avanti, il pro-prefetto del Dicastero per l’evangelizzazione: «Questo non è non voler vedere il male che è presente mondo. Non c’è l’ipocrisia di voler fare finta di nulla». Infine, il prossimo Giubileo, «il Papa lo sta pensando realmente con un occhio di riguardo nei confronti dei detenuti. E chiederà l’amnistia ai governi». Così che sia un modo di «coniugare la speranza con segni concreti propri di speranza».
E intanto Carlo Nordio, ministro della Giustizia, scrive dello «sforzo di migliorare le condizioni di chi opera o vive negli istituti penitenziari», si legge nel suo lungo messaggio mandato ai convegnisti: «Più agenti, più educatori, nuovi direttori, nuovi investimenti per ristrutturare o ampliare le strutture, più possibilità di lavoro, più occasioni di sport: in questa direzione ci stiamo muovendo, convinti che tutto può concorrere a portare miglioramenti, ma altrettanto consapevoli che stratificate criticità non si risolvano così velocemente».
Fra l’altro, il Guardasigilli ringrazia i cappellani, i religiosi e i volontari che operano nelle carceri, poi continua: «Avete scelto come titolo di queste giornate il versetto tratto dal Vangelo di Luca: “Lo vide e ne ebbe compassione” - scrive ancora Nordio -. Parole che ben rappresentano una missione che, intesa in senso laico, riguarda non solo voi, ma chiunque decida di occuparsi del carcere». E «se davvero vogliamo dare attuazione al principio costituzionale della pena tesa alla rieducazione, non possiamo non rimettere al centro innanzitutto quell’umanità dolente che voi ogni giorno incontrate».
Altro punto fermo. «Non si devono mettere sullo stesso piano aggressore e vittima di un reato, lo sono umanamente, ma non giuridicamente», sottolinea Antonio Sangermano, capo Dipartimento della giustizia minorile al ministero: «Questo consente alla società di non implodere, di non consegnarsi alla violenza». Il carcere implica ovviamente il problema del male, del delitto, e tuttavia «il primo presupposto per avvicinarsi al carcere, credo sia quello del dolore - va avanti Sangermano - e nelle carceri ho visto una marea di dolore. Tanto più che so come nessun essere umano possa essere incapsulato nella colpa che ha commesso».
A proposito di carceri minorili. «I ragazzi detenuti devono continuare a sperare - racconta suor Aurora Consolini, che lavora al minorile di Casal del Marmo a Roma -, nonostante abbiano avuto spesso vite molto difficili». Non è facile. E non facile nemmeno «mettere insieme lo scontare una pena, perché hanno compiuto un reato, con provare a recuperarli e rieducarli».
Monsignor Gherardo Gambelli è il nuovo vescovo eletto di Firenze, ancora cappellano al carcere di Sollicciano ed è qui ad Assisi anche lui: «Bisogna mettersi davvero in ascolto delle persone, questa è la cosa di cui hanno più bisogno, perché c’è tanta solitudine, tanta sofferenza», dice subito. Allora «dobbiamo formarci», perché «certamente l’ascolto non si improvvisa». Fermo restando che esiste un’altra sfida, dopo l’ascolto: «Cercare di dare risposte». Tant’è che padre Sergio, cappellano a Poggioreale, la mette chiara: «La cosa più difficile è aiutare i carcerati a trovare risposte alle loro difficoltà, a volte io faccio fatica». Eppure, «ogni volta che celebriamo la Messa, c’è sempre grande partecipazione dei detenuti».
Oggi è il terzo giorno di convegno (che chiuderà domani): «Qui c’è un popolo che cammina - ribadisce don Raffaele Grimaldi, ispettore generale dei cappellani -, che ha a cuore i ristretti e le vittime, che vuole, tutti insieme, umanizzare le nostre carceri. Il nostro obiettivo, l’obiettivo del nostro servizio nelle carceri. è proprio quello di umanizzarle».