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Corre voce che il peggior “razzismo” sui campi di calcio abbia come bersaglio mobile la figura sempre più espiatoria del “signor arbitro”, alias, il signor Malaussène del pallone italico. Tutt’altro che una vita da signori quella che fanno la maggioranza dei 33mila tesserati Aia (Associazione italiana arbitri). Tolta l’élite dei fischietti del professionismo, adeguatamente remunerata, il resto dell’arbitraggio è una missione di volontariato e spesso una passione alla quale viene riconosciuto l’obolo del rimborso spese.
Quindi, a distanza siderale dai riflettori degli stadi di Serie A, B e C, laggiù nel buio dei campetti di periferia, quelli dell’animoso dilettantismo, è sempre più una bolgia. La riprova, una delle tante, è l’episodio di violenza toccato a una giovane giacchetta nera del campionato di terza categoria di Viterbo. Al termine della sfida Corchiano-Cellere, il direttore di gara Edoardo Cavalleri, professione fisioterapista, è stato preso a botte dalla solita sporca mezza dozzina che l’ha mandato all’ospedale. Referto medico: frattura di un osso, il capitello del gomito sinistro, con 30 giorni di prognosi e la necessità di cercarsi un collega fisioterapista per la riabilitazione. Alla follia, l’Aia ha risposto con uno sciopero: sospesa l’intera giornata di campionato, con tutto il movimento laziale fermo, dall’Eccellenza all’Under 14. Era già accaduto nel 2018: stop dopo che in una gara di Promozione, l’arbitro Riccardo Bernardini, aggredito, battendo la testa aveva rischiato di morire. Sei anni dopo siamo ancora dinanzi alla follia della “caccia all’arbitro” e questo a prescindere se abbia sbagliato o meno le sue valutazioni.
Nelle lande dove il Var è solo una sigla virtuale, non si sbaglia neppure da professionisti, perciò passano quasi sotto traccia gli 870 episodi di violenze registrati nel biennio 2022-2024, dei quali oltre il 50% (579 casi di cui 126 gravi) si sono verificati nei campionati regionali. Due stagioni all’inferno, con i direttori di gara colpiti dalle violenze per un totale di 978 giorni di prognosi. L’Aia ci informa che si sono verificati 180 casi di violenza fisica grave, 257 quelli di violenza fisica, 62 di violenza morale, 282 violenze di altro tipo e 89 tentate violenze. Un terzo di questi episodi coinvolgono i campionati giovanili, dove il genitore passa dal deprecabile “spaccagli le gambe”, urlato dalla tribuna come monito al figlio impegnato in campo contro l’avversario, alla bieca violenza fisica facendo registrare 282 casi, di cui 48 gravi. L’ultima aggressione toccata a Cavalleri consolida il triste primato del Lazio che comanda la classifica delle violenze sugli arbitri con 109 episodi, seguita da Sicilia (98), Lombardia (97), Toscana (86) e Piemonte (83). I protagonisti in negativo di queste barbarie da ultimo stadio sono nell’85-90% tesserati, calciatori e dirigenti-allenatori. E il fenomeno è in forte crescita: si è passati dai 342 episodi della stagione calcistica 2022-2023 ai 528 della 2023-2024. Nella stagione in corso 2024/205 (dati aggiornati al 20 novembre), si sono già registrati 195 episodi di violenza, di cui 15 gravi, per un totale di 61 giorni di prognosi.
Per questo i direttori di gara di tutte le categorie la scorsa settimana sono scesi in campo con un tratto di lucido nero sotto l’occhio. «Quanto accaduto in occasione delle partite disputate lo scorso fine settimana è qualcosa di storico – ha dichiarato il presidente dell'Aia, Carlo Pacifici –. Vedere tutti gli arbitri italiani scendere in campo con un segno nero sul viso, ha rappresentato un messaggio forte contro la violenza sui direttori di gara. Un messaggio di sensibilizzazione su un tema che deve vedere unito tutto lo sport. In questa maniera gli arbitri hanno anche voluto esprimere solidarietà ai colleghi vittime di queste aggressioni. Ora andiamo avanti forti dell'impegno e dell'abnegazione che i nostri 33.000 associati dimostrano ogni domenica, garantendo il rispetto delle regole e permettendo a tanti ragazzi e ragazze di praticare questo bellissimo sport che non deve essere sporcato da odio e violenza. Tutelare gli arbitri vuol dire tutelare il calcio». Il ministro dello Sport Andrea Abodi ha molto a cuore la tutela del calcio e conosce bene il problema: «Quando ero presidente della Lega B le aggressioni erano 500-600 l’anno. L’arbitro è una figura fondamentale. Occorrono pene più significative e riconoscere agli arbitri uno status non molto lontano da quello del pubblico ufficiale. Non possiamo considerarli solo dei tesserati. Ne riparlerò con il ministro dell’Interno Piantedosi e con il ministro della Giustizia Nordio». La palla avvelenata scagliata contro gli arbitri passa al Palazzo della politica. Speriamo che il triplice fischio su queste vicende arrivi quanto prima.