Le falsità contro Dino Boffo costano una nuova condanna (ormai definitiva, per quanto attiene il giudizio professionale) da parte dell’organismo di autodisciplina dei giornalisti a Vittorio Feltri, attuale direttore editoriale de
il Giornale. Una conferma della sostanza del giudizio di primo grado, con il dimezzamento della sanzione: da sei a tre mesi di sospensione dall’albo professionale. Il quotidiano milanese e il suo direttore (a suo tempo responsabile, ora l’incarico è stato ceduto ad Alessandro Sallusti, prima condirettore) hanno sbagliato.«Ha pubblicato – si leggeva nella sentenza di primo grado emessa il 26 marzo dall’Ordine dei giornalisti della Lombardia – una serie di articoli in cui ha attribuito falsamente al Tribunale di Terni informazioni non vere relative al collega Dino Boffo violando gli articoli 2 e 48 della legge istitutiva dell’Ordine la n.69 del 1963 e la carta dei doveri del giornalista che prevede la pubblicazione di notizie vere e verificate, il dovere dell’attendibilità della fonte e la rettifica tempestiva in caso di notizie pubblicate e inesatte». In pratica, recitavano le motivazioni di quella sentenza, «il comportamento di Vittorio Feltri ha violato non solo la dignità e l’onore del collega Boffo, ma anche compromesso il rapporto di fiducia tra stampa e lettori».Un dispositivo che già racchiudeva tutte le infrazioni commesse da Feltri. Ieri dunque il direttore editoriale de
Il Giornale, è stato sospeso dall’Ordine nazionale, competente nei giudizi di secondo grado. Il verdetto, secondo quanto si è appreso da fonti interne all’Ordine, è arrivato alla terza votazione, con un risultato di perfetta parità: 66 consiglieri si sono infatti espressi per ridurre la sospensione a 3 mesi mentre altri 66 hanno optato per la conferma della sanzione precedente. Da regolamento, in casi come questo prevale la decisione più favorevole all’imputato: di conseguenza l’Ordine dei giornalisti ha deliberato di sospendere Feltri per soli 3 mesi dall’esercizio della professione.Ma c’è un dato molto significativo che va registrato: ed è il fatto che, pur dividendosi sull’entità della sanzione, la totalità dei consiglieri dell’Ordine nazionale ha ritenuto Feltri colpevole di un comportamento professionalmente riprovevole. Nessuno ha votato per l’assoluzione. Sanzioni più blande come la semplice censura o la sospensione di 2 mesi sono state esaminate, discusse e scartate. Resta quindi, al termine di 3 ore di confronto, un giudizio di colpevolezza.Feltri era stato sentito ieri mattina, insieme ai suoi legali, e in serata, una volta appresa la sentenza, ha dichiarato che non si aspettava «niente di meglio».«Quella del Consiglio dell’Ordine nazionale dei giornalisti è una decisione che ribadisce e sancisce, una volta per tutte, l’assoluta scorrettezza di chi, con l’alibi del diritto di cronaca, ha deliberatamente calpestato ogni regola deontologica del nostro mestiere». È quanto ha affermato il Comitato di redazione di
Tv 2000, l’emittente televisiva dei cattolici italiani diretta da Dino Boffo, in merito alla sanzione comminata al direttore editoriale de
Il Giornale. «E non può, certo, la riduzione da sei a tre mesi della sospensione comminata cambiare la sostanza di quanto accaduto – si legge ancora nella nota della rappresentanza dei giornalisti di
Tv2000 –: l’aggressione mediatica a Dino Boffo, uno scoop tarocco messo a segno a colpi di false informative e illazioni infamanti, resta una delle pagine più vergognose nella storia dell’informazione italiana».
La vicenda: Attacco scriteriato. Con scuse tardiveUn attacco spietato, orchestrato con cura. Una storia ordita forse anche per conquistare il pubblico di affezionati del gossip di serie C. Il «caso Feltri» esplode il 28 agosto del 2009, quando
Il Giornale, allora diretto dal giornalista bergamasco (ora direttore editoriale e non più responsabile: l’incarico è stato ceduto a Alessandro Sallusti, che prima era condirettore), annuncia in prima pagina di voler «smascherare i moralisti», rei di essere iscritti al club dei «denigratori di Silvio Berlusconi».Accuse gravi quelle de
Il Giornale che tentano di far passare il direttore galantuomo di
Avvenire Dino Boffo per omosessuale. La prova, secondo Feltri e i suoi? Un «decreto di condanna» emesso dal Tribunale di Terni per molestie. Più una «nota informativa» che non si sa bene quale forza di polizia abbia steso. Due presunte prove subito riprese con clamore dai circuiti mediatici senza prendersi la fatica di compiere alcuna verifica. Ma accade che la sedicente informativa di polizia si rilevi falsa. E altri scomposti tentativi di accreditarla come vera franino subito davanti alle smentite della questura di Milano e poi addirittura dal ministro dell’Interno Roberto Maroni.E ai veleni che il quotidiano prova a spargere replica in prima persona il direttore di
Avvenire. Definisce quanto Feltri ha pubblicato «l’ammenda per una vecchia querelle giudiziaria a Terni, di nessuno rilievo, ma rinforzata da lettera anonima spacciata per "nota informativa"». Nota che nei giorni successivi si rileva appunto un falso: un foglio artefatto, privo di qualunque credibilità. Il 30 agosto Boffo, che intanto riceve una valanga di attestati di stima e il pieno appoggio della Conferenza episcopale italiana attraverso il suo presidente cardinale Angelo Bagnasco, solleva un dubbio decisivo: «Questo testo che ha in mano Feltri è realmente una informativa che proviene da qualche fascicolo giudiziario oppure un patacca che, con un minimo appiglio, monta una situazione fantasiosa, fantastica, criminale?».Sta di fatto che dopo una settimana Boffo, nonostante la stima confermata dalla Cei, decide di dimettersi.
Avvenire il 3 settembre 2009 smonta definitivamente il caso con una ricostruzione tuttora reperibile
qui, articolata su 10 bugie e altrettante, opposte verità.
Il Giornale non fa ammenda se non il 4 dicembre 2009. «La ricostruzione dei fatti descritti nella nota, oggi posso dire – sono le parole di Feltri –, non corrispondono al contenuto degli atti processuali».Ma questa tardiva retromarcia non gli basta per evitare la sospensione dell’Ordine, confermata ieri.