martedì 30 gennaio 2024
A Trino Vercellese la comunità contro l'ipotesi di diventare deposito per rifiuti radioattivi. E a Falconara Marittima in tanti sabato hanno protestato contro la presenza della raffineria Api
La manifestazione di sabato scorso a Falconara Marittima contro lo stabilimento dell'Api

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In diverse zone d’Italia, l’ambiente messo a rischio da scelte sbagliate fatte in passato continua a interrogare e a mobilitare cittadini e associazioni: ecco cosa sta succedendo A Trino Vercellese la comunità respinge l’ipotesi di proporsi come deposito per i rifiuti radioattivi, dopo l’idea lanciata dal sindaco Falconara Marittima in tanti sabato hanno protestato contro la presenza dell’impianto: due processi chiedono di fare luce sul caso.


«No all’autocandidatura per ospitare il Deposito nazionale di rifiuti nucleari». L’arcidiocesi di Vercelli, con un comunicato firmato dal vicario episcopale per la Pastorale sociale e la salvaguardia del Creato, don Davide Besseghini, e dal direttore dell’Ufficio, Marina Rasore, ribadisce la piena contrarietà alla proposta espressa a più riprese dal sindaco di Trino Vercellese, Daniele Pane. Un’autocandidatura che fa discutere e che neppure in paese ha trovato tutti d’accordo. Il Comune della pianura vercellese, seimila abitanti tra il fiume Po e le risaie, ospita la struttura dismessa della storica centrale nucleare dedicata a Enrico Fermi, attiva dagli anni Sessanta fino al 1990, quando fu messa in “custodia protettiva passiva”. Dal 1999 la proprietà, come per gli altri impianti nucleari, è stata trasferita alla società di Stato Sogin. Considerando anche l’ex impianto di Saluggia (a una ventina di chilometri di distanza), la zona ospita oggi la stragrande maggioranza di scorie nucleari italiane. Con la costruzione del nuovo deposito, l’intero territorio si troverebbe finalmente libero da materiali stoccati da decenni (in modo “temporaneo”) nelle due strutture.

A dicembre, il ministero dell’Ambiente ha pubblicato la Carta nazionale delle aree idonee (Cnai) per il deposito: l’elenco, basato su 15 criteri di esclusione e 13 criteri di approfondimento, comprende 51 Comuni potenzialmente idonei. La struttura consentirà la sistemazione definitiva di circa 78mila metri cubi di rifiuti a bassa attività e lo stoccaggio temporaneo di circa 17mila metri cubi di rifiuti a media e alta attività. Nello stesso sito verrà creato anche un centro di ricerca all’avanguardia, in grado di attrarre ricercatori e ricchezza per il territorio, che si andrà ad aggiungere ai contributi pubblici milionari stanziati, ai 4mila occupati previsti nel cantiere per 4 anni e ai 700-1.000 occupati che lavoreranno per la gestione ordinaria del deposito. Tra le località selezionate nell’elenco Cnai, Trino non è stata inclusa. Tuttavia, il recente Decreto energia ha aperto le porte alle autocandidature e, così, il Comune vercellese ha presentato al ministero e a Sogin la richiesta «di avviare una rivalutazione del territorio al fine di verificarne l'eventuale idoneità ».

L’autocandidatura è condizionata da alcuni fattori, tra cui il buon esito della verifica di idoneità da parte di Sogin e dalla validazione dell'autorità competente in materia di sicurezza, «e che l’esito tenga in considerazione e non metta in discussione tutti i criteri di sicurezza ». Ma la proposta non convince l’Arcidiocesi. «Sono originario di Trino – spiega il vicario generale di Vercelli, monsignor Stefano Bedello – e ho vissuto in prima persona l’intera vicenda. Questo territorio vive da decenni con il disagio del nucleare, ma soffre anche della fragilità idrogeologica dovuta al fiume Po: ricordo bene le alluvioni del 1994 e del 2000, che si sono andate a sommare a quella storica del 1968. Il deposito non verrebbe mai costruito sul fiume, certo, ma questa è terra di risaie: ne potrebbe risentire sia l’ecologia sia l’economia». Una opinione che non vuole essere pregiudiziale, ma basata sulla concretezza. «Il nostro arcivescovo, Marco Arnolfo, è laureato in fisica – continua il vicario generale – e ha una grande sensibilità ecologica. Con questa presa di posizione, declina sul territorio il magistero sulla cura del creato, nell’ottica dell’enciclica Laudato Si' di papa Francesco. Se la scienza ritiene il territorio non adatto, è necessario rispettare queste indicazioni. È una questione che non può essere decisa da un solo Comune: il ragionamento deve includere tutto il territorio. Siamo disponibili a incontrarci per contribuire con le nostre opinioni».

La discussione continua. La proposta dell’amministrazione di Trino ha incassato il plauso di Carlo Calenda e l’apprezzamento del ministro Gilberto Pichetto Fratin, mentre 600 cittadini contrari hanno dato vita al comitato Tri-No, e Legambiente ha anticipato di voler intervenire nel procedimento di verifica delle autocandidature. Intanto, viste le polemiche, il sindaco ha annunciato l'intenzione di proporre un referendum.

E sono giornate di protesta anche a Falconara Marittima (Ancona), che da 50 anni ospita la Raffineria Api, il ciclopico stabilimento petrolchimico da mille posti di lavoro di proprietà del gruppo Api: 70 ettari di cisterne, ciminiere e torce idrocarburiche sulla spiaggia della città coi suoi 26mila abitanti. Un sito coinvolto in due processi per eco reati, in un clima di crescente esasperazione tra la gente del posto e dei Comuni limitrofi. La nuova inchiesta della magistratura, Oro Nero, è grave, perché vede fra i capi di accusa quello di disastro ambientale. E se il gup darà l’autorizzazione ad andare a dibattimento, (la prima udienza si è tenuta il 18 gennaio) sono 18 le persone che dovranno difendersi da accuse che – come scrive la Procura di Ancona – non riguardano solo specifici episodi ma si estendono a un modo di operare che si sarebbe contraddistinto per negligenze diffuse, «motivate dalla volontà di non compromettere l'attività produttiva, risparmiando gli ingenti costi per l'ispezione, la manutenzione e l'adeguamento dei serbatoi e degli impianti».

E mentre il comitato cittadino Mal’Aria, con le associazioni Ondaverde, Falkatraz, altre realtà ambientaliste e liberi cittadini è sceso in piazza sabato per chiedere una bonifica della raffineria, le esalazioni d’idrocarburi continuano a impregnare l’aria. Dal 26 dicembre ne sono state segnalate più di 200, anche dalle città limitrofe, Ancona nord, Chiaravalle, Monte San Vito, a seconda di dove tiri il vento. «Il fenomeno dura da anni e anziché migliorare, peggiora. Nel 2023 ne sono state segnalate una ogni tre giorni. A Falconare sembra di vivere dentro la stessa raffineria, tanto è forte l’odore di idrocarburi certi giorni», racconta Fabrizio Recanatesi, cittadino e attivista. L’indagine Oro Nero è scaturita proprio a seguito della mobilitazione dei cittadini che nel 2018 hanno sporto denuncia per il persistere acuto del miasma maleodorante causato dai gas idrocarburici fuoriusciti, secondo le accuse, dalla gigantesca cisterna T-K61 della raffineria. Gli accertamenti del Noe di Ancona hanno portato il pm Irene Bilotta a ipotizzare una serie d’inadempienze perpetuate da dirigenti e tecnici: nelle ispezioni e manutenzione dei serbatoi, nella contaminazione e mancato barrieramento delle acque riversate in mare, nello smaltimento dei rifiuti.

«Siamo pronti a sviscerare nel processo tutti i temi che siamo certi daranno un contributo molto utile alle valutazioni del giudice », ha dichiarato Api spa in una nota diffusa al concludersi delle indagini. Oltre a Oro Nero, è già in corso e in fase di primo grado il processo per le esalazioni maleodoranti rilasciate nel periodo 2013 – 2018, allora denunciate da 70 cittadini. La mobilitazione ha iniziato a crescere dagli inizi del 2000, grazie all’impegno di comitati, capaci di fare leva sull’informazione e sulla mobilitazione, subendo anche più di una querela da parte di Api. Spiega Roberto Cenci, del comitato Mal’Aria: «Sono stati i cittadini a bucare il muro dell’immobilismo con le loro proteste e con le loro denuncie e a permettere alla magistratura di attivarsi. Mentre abbiamo la percezione che degli enti preposti al controllo e delle istituzioni non siano mai realmente intervenute sulle cause di tante criticità ambientali». Sono almeno sei gli studi epidemiologici sull’area. Enti quali l’Istituto nazionale tumori Milano, Arpam, Ars e Iss hanno rivelato in quasi 20 anni una maggiore incidenza di malattie e aborti spontanei, supportando l’ipotesi di una matrice ambientale profondamente compromessa. Lo studio Sentieri 2023 osserva un eccesso di mortalità e ricoveri in parte associabili all’esposizione d’inquinanti ambientali: diossine, metalli pesanti e benzene. « I dati storici presentano una forte continuità – spiega Mirco Fanelli, professore ordinario di Medicina di laboratorio all’Università di Urbino –. A Falconara si muore e ci si ammala, di più che in altre zone, di varie patologie, neoplastiche. Cosa ci aspetterà nel prossimo futuro se l’attività d’industrie impattanti sul territorio continuasse così o, sciaguratamente, dovesse aumentare?».











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