Non c'è pace per la legge 40, negli anni scorsi sconvolta nel suo impianto originario a colpi di sentenze e di ricorsi alla Consulta nel tentativo di rendere tutto possibile in fatto di procreazione. Il Tribunale di Pordenone –- giudice Maria Paola Costa -– ora ha accolto la richiesta di una coppia di donne omosessuali di sollevare la questione di legittimità costituzionale delle norme - nella fattispecie la legge 40 - che attualmente vietano in Italia l'accesso alla procreazione medicalmente assistita anche alle coppie omosessuali. Sul procedimento, dunque, si pronuncerà ora la Corte Costituzionale.
Alla coppia era stato rifiutato l'accesso alle tecniche di fecondazione artificiale dal Servizio per i trattamenti di Procreazione Medicalmente Assistita presente nell'Azienda Sanitaria 5 di Pordenone, proprio in base a quanto prevede la normativa, che vieta l'accesso alla provetta alle coppie gay e anche ai single. Di fronte al diniego della struttura pubblica, le due donne avevano chiesto al giudice, qualora non fosse stato possibile in via diretta - ovvero con un'interpretazione costituzionalmente orientata - superare il rifiuto dell'Azienda Sanitaria, di investire della questione la Corte Costituzionale, al fine di dichiarare formalmente l'incostituzionalità di tale divieto.
E così il giudice pordenonese ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata la questione posta dalla legale della coppia, stante il palese contrasto del divieto con gli articoli 2, 3, 31 comma 2 e 32 comma 1 della Costituzione (quelli cioè relativi ai diritti degli individui e alla loro uguaglianza innanzi alla legge) nonché con l'articolo 117 comma 1 della Costituzione (che prevede il rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali) in relazione agli articoli 8 e 14 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali (Cedu), il primo incentrato sul diritto al rispetto della vita privata e familiare, il secondo sul divieto di discriminazione.