mercoledì 27 marzo 2024
Primo bilancio per la nave Life Support: 40 mila km (la circonferenza della Terra) per 15 missioni. Ma metà navigazione - e un milione di euro - sprecati per raggiungere approdi al Centro-Nord
La delicata fase del passaggio dal gommone di soccorso alla nave madre

La delicata fase del passaggio dal gommone di soccorso alla nave madre - Emergency

COMMENTA E CONDIVIDI

Un anno di soccorsi in mare che hanno salvato la vita a 1.219 uomini, donne, bambini. È il risultato concreto e prezioso dello sforzo di Emergency, che con la sua nave Life Support - 51 metri e 1.350 tonnellate di stazza - tra dicembre 2022 e dicembre 2023 è riuscita a strappare alla rotta migratoria più letale al mondo esseri umani in fuga da violenze e povertà. Nonostante gli ostacoli che il decreto Piantedosi, convertito in legge, ha creato a tutte le navi di soccorso di Organizzazioni non governative. Se infatti per i salvataggi operati da Guardia Costiera e Guardia di Finanza i PoS (place of safety, porti sicuri) indicati per lo sbarco sono quelli siciliani più vicini alle aree di operazione, alle imbarcazioni di Ong vengono sistematicamente assegnati porti molto più lontani: non solo Brindisi, Taranto o Napoli, ma addirittura Civitavecchia, Ortona e perfino Livorno, Marina di Carrara, Ravenna.

L'effetto? Obbligare le Ong a molti giorni di navigazione inutile, quando i richiedenti asilo sbarcati in Sicilia potrebbero essere trasferiti rapidamente al nord su strada. Anche con mare agitato, provocando ai naufraghi ulteriori sofferenze. Ed è una pratica che produce anche uno spreco enorme di risorse, assieme all'allontanamento per giorni e giorni delle navi delle ong nelle aree di soccorso, dove la loro presenza può fare la differenza tra la vita e la morte. Il Centro Astalli, su dati dell'Oim (Organizzazione internazionale per le migrazioni) aveva calcolato che tra 2022 e 2023 c'è stato un tragico aumento di morti tra migranti: 2.571 l'anno scorso nel Mediterraneo, quasi 1.000 in più del 2022. La stragrande maggioranza (2.271) vittime di incidenti nel Canale di Sicilia, senza contare anche i "naufragi fantasma", morti invisibili di cui non si ha notizia.

Da rapporto di Emergency "Non restare a guardare - Un anno di soccorsi in mare della Life Support", gli effetti del decreto Piantedosi sulla nave della Ong fondata da Gino Strada sono quantificabili in oltre la metà dei chilometri delle missioni percorsi per raggiungere porti lontani: sui 105 giorni di operazioni portate a termine in un anno, oltre la metà, 56 giornate, sono state "sprecate" per raggiungere approdi lontanissimi dal Mediterraneo centrale. Cioè 3,5 giorni di navigazione in media a missione. Sui 40 mila chilometri percorsi in un anno - pari alla circonferenza terrestre - ben 22.600 sono stati quelli necessari per i lunghi trasferimenti. Tutto questo si traduce in quasi un milione di euro di spesa (€ 938.248) che poteva essere impiegato molto più proficuamente per salvare esseri umani da una Organizzazione non governativa che vive di donazioni.

Migranti appena saliti a bordo si riscaldano con le coperte

Migranti appena saliti a bordo si riscaldano con le coperte - Davide Preti per Emergency

Un "accanimento" di fatto contro le Ong, che portano in Italia solo l'8% dei naufraghi, cioè 12.523 persone nel 2023. E nello stesso anno sono state 14 le "detenzioni amministrative" a carico di altre Organizzazioni della società civile, per accuse di irregolarità formali che hanno bloccato a lungo nei porti le loro navi. Il decreto poi vieta quasi sempre di operare soccorsi multipli: una volta effettuato il salvataggio, la nave viene obbligata a tornare in porto, anche se avrebbe ancora molti posti disponibili per raccogliere e ospitare altri naufraghi. Per Carlo Maisano, coordinatore della Life Support, «il decreto Piantedosi, assieme all'assegnazione del porto lontano e alle detenzioni amministrative, ha sottratto tempo prezioso al soccorso e alla tutela della vita di chi è in mare».

Dei 1.219 naufraghi salvati in un anno da Emergency 846 sono uomini, 101 donne di cui 7 in stato di gravidanza, 216 minori non accompagnati e 56 minori accompagnati. I nuclei familiari sono stati 43. Le persone soccorse provenivano da Bangladesh (148), Siria (142), Costa d’Avorio (106), Egitto (106), Pakistan (96), Eritrea (59), Guinea Conakry (59), Etiopia (55), Mali (56), Senegal (55), Sudan (52), Camerun (49), Gambia (48), Nigeria (36), Somalia (29), Tunisia (27), Guinea Bissau (23), Libia (18), Benin (10), Ciad (9), Sierra Leone (8), Sud Sudan (5), Burkina Faso (5), Marocco (4), Palestina (4), Congo (4), Mauritania (3), Liberia (2) e Algeria (1).

Sul totale dei 15 salvataggi, 13 casi sono stati segnalati dall’aereo Airborne della Ong Sea Watch, dall’aereo della Ong Pilotes Volontaires oltre che dal numero di emergenza di Alarm Phone. Dal ponte della Life Support sono stati avvistati 5 casi senza indicazioni da altri canali. Solo 2 i casi indicati da Frontex (Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera), 3 le operazioni su segnalazione della Guardia Costiera italiana. La maggior parte dei casi di distress, cioè imbarcazioni in pericolo, provenivano dalla rotta libica occidentale, da Zwara e Al Zawiya; 3 da quella orientale, da Bengasi o Tobruk; e 6 imbarcazioni erano partite dalla città di Sfax, in Tunisia.

Il capo missione Emanuele Nannini scruta il mare alla ricerca di imbarcazioni

Il capo missione Emanuele Nannini scruta il mare alla ricerca di imbarcazioni - Giulio Piscitelli per Emergency

Le testimonianze dei naufraghi confermano come di fatto non solo i canali di immigrazione regolare, ma anche l'accesso al diritto costituzionale di richiesta di asilo, sono vie impraticabili. E i viaggi della disperazione sono quasi sempre l'unica carta da giocare per chi non può vivere nel suo paese di origine. Esemplare il racconto di un uomo del Bangladesh, soccorso la settimana passata dalla Life Support: «La mia famiglia è molto povera - racconta - e ha dovuto vendere tutto quello che aveva per pagarmi il viaggio. Per anni e spendendo molti soldi, ho richiesto un visto per andare in altri Paesi: Croazia, Arabia Saudita, Romania, Algeria, Singapore, perfino il Sud Africa. Dopo anni di attesa e burocrazia, ho capito che non sarei riuscito a partire attraverso i canali legali. Sono stato costretto ad andare in Libia, l’unico modo per cercare una vita migliore per me e la mia famiglia. Nel mondo c’è molta discriminazione per le persone povere; nel mio Paese, politici e uomini d’affari ottengono i visti senza problemi e non devono aspettare per anni una risposta che non arriva. In Libia ho conosciuto tante persone che tentavano il mio stesso viaggio perché non riuscivano a ottenere i visti per arrivare in Europa in maniera legale. Ci accomunava una cosa: la povertà».

Quasi sempre drammatiche le testimonianze dei richiedenti asilo: «In Libia non ci sono diritti per i migranti - racconta un ragazzo di 24 anni della Sierra Leone - e possono ucciderti per strada e a nessuno importa. Ma anche in Tunisia c’è molto razzismo contro i neri. A Sfax attaccano spesso noi africani subsahariani. Vengono nelle case in cui viviamo, ci rubano i soldi, i telefoni, ci picchiano anche per ore se non abbiamo soldi. Ho ancora tante cicatrici. Sono fuggito dalla Sierra Leone, dove molti membri della mia famiglia sono stati uccisi perché considerati oppositori politici. Sono dovuto scappare in Marocco, ho passato mesi nel deserto».

I migranti hanno sempre bisogno d vestiti nuovi, puliti e asciutti

I migranti hanno sempre bisogno d vestiti nuovi, puliti e asciutti - Emergency

Ancora più drammatica la condizione delle donne: «Sono andata via da sola dal mio Paese - dice una ragazza del Camerun di 28 anni - fuggita da violenze e abusi, lasciando famiglia e amici. Sono arrivata in Tunisia passando per il deserto dell’Algeria. Durante il viaggio sono stata violentata dagli uomini che avevo pagato per il viaggio. Succede a moltissime donne. In quei mesi non sono mai potuta andare da un dottore perché ero senza documenti. Solo una volta salita sulla Life Support, ho potuto fare un test di gravidanza. In quel momento ho scoperto di essere incinta di tre mesi».




© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI