giovedì 24 ottobre 2024
Si chiamava Emanuele Tufano il giovane ucciso a colpi di arma da fuoco, vicino alla stazione centrale. Coinvolti nella sparatoria altri due minorenni. L’arcivescovo: «Non possiamo più restare inermi»
Le forze dell'ordine sul luogo della sparatoria

Le forze dell'ordine sul luogo della sparatoria - ANSA

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Una telefonata al centralino della polizia nel pieno della notte. Quando gli agenti e gli operatori del 118 arrivano in una traversa di corso Umberto I, a poche centinaia di metri dalla stazione di Napoli Centrale, trovano a terra il corpo di Emanuele Tufano, ammazzato a colpi d’arma da fuoco a soli 15 anni. Nella sparatoria in cui è stato ucciso il giovane sono stati coinvolti altri due minori ricoverati al Cto di Napoli: un 17enne, colpito al braccio da un colpo di pistola, e un 14enne, con escoriazioni sulle braccia e sulla fronte dovute forse a una caduta dallo scooter. Una terza persona, di 27 anni, è ricoverata al Vecchio Pellegrini con contusioni varie.

Sulla vicenda, dai contorni ancora non ben definiti, indaga la squadra mobile di Napoli. Secondo le prime ricostruzioni, sarebbero stati almeno 12 i colpi esplosi. Il 15enne ammazzato era uno studente. Sia lui che i suoi genitori risultano incensurati e non sembrano direttamente legati ad ambienti camorristici.

«C’è un tema da affrontare perché riguarda non solo la sicurezza, ma anche un fenomeno sociale che veramente ci fa rabbrividire ‒ ha commentato il sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi ‒. Ci sono queste bande di ragazzini – e questo rappresenta chiaramente un fenomeno nuovo – che devono essere affrontate sia dal punto di vista repressivo che del controllo sociale. Si tratta di bambini con la pistola, ed è una cosa che colpisce tantissimo».

In una lunga lettera, l’arcivescovo di Napoli, Mimmo Battaglia, rivolge un accorato appello alla città. «Non possiamo più restare inermi ‒ scrive l’arcivescovo ‒. È tempo di un cambio di passo, e lo dico con tutta la forza e l’urgenza che richiede questo momento. Chiedo con forza un impegno concreto per creare percorsi educativi che partano dai primi anni di vita, che siano capaci di raggiungere soprattutto le famiglie più fragili. I nostri ragazzi devono poter vedere un futuro diverso, un futuro fatto di speranza e possibilità, e non di armi e violenza».

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