Un recente sequestro di droga - Ansa
Che sia il momento di svolta – tanto atteso, tanto invocato – lo si capisce da chi si siede al tavolo virtuale convocato ieri mattina dalle comunità terapeutiche in occasione della Giornata contro la droga celebrata appena lo scorso weekend. Ovvero, tutto il mondo degli operatori pubblici e privati impegnati nel campo delle dipendenze (nessuno escluso: i progressisti, i conservatori, i vecchi e i nuovi, i sostenitori delle liberalizzazioni, i prudenti, i visionari), ma soprattutto il governo, nella persona del ministro con deleghe alle Politiche antidroga Fabiana Dadone e il numero uno del dipartimento, Flavio Siniscalchi, appena sbarcato qui dopo una lunga esperienza alle Politiche giovanili e alla Protezione civile. Lo Stato c’è, finalmente, dopo anni di latitanza sul punto. E c’è perché le dipendenze – la droga, l’alcol, l’azzardo, Internet – non possono più essere dimenticate. Quello che sta succedendo nella carne viva del Paese, tra i giovani e i giovanissimi inghiottiti sempre più dall’abisso dell’emergenza educativa, è sotto gli occhi di tutti: non basta indignarsi, non serve gridare al lassismo sui social, alle colpe della pandemia e del lockdown, alla generazione iperconnessa che non vuol sentir parlare di regole e spesso anche di scuola. Adesso bisogna intervenire.
La parola chiave è Conferenza nazionale: un appuntamento disertato da oltre dieci anni. A quel momento fondamentale di confronto, da cui sono nate negli anni Novanta e Duemila le buone pratiche che avevan messo l’Italia sul podio dei servizi di prevenzione e di accoglienza dei tossicodipendenti, si era rinunciato per inerzia, per disinteresse: altre le priorità del Belpaese, tanto che nel corso degli anni i fondi si sono sempre più assottigliati, Sert e comunità sono stati abbandonati a loro stessi, i ragazzi un puntino invisibile relegato nei parchetti e nelle discoteche. Basterebbe guardare a come il tema delle dipendenze è scomparso dalle campagne di comunicazione istituzionali e dai percorsi di prevenzione organizzati nelle scuole.
Il ministro Dadone, quella parola, la pronuncia immediatamente: «Sarà convocata entro l’anno – annuncia –, i tavoli di confronto e di interlocuzione partiranno già nei prossimi giorni». Ed è così, perché le comunità vengono convocate dal Dipartimento già per il prossimo 5 luglio. Un primo momento di confronto, alla mano la Relazione annuale pubblicata sempre ieri e l’esito di un altro confronto molto atteso, fissato per la mattina dello stesso giorno, con i delegati delle Regioni. Si fa sul serio, insomma.
L’appello delle comunità è chiaro e unanime: dopo un anno e mezzo di pandemia, e dopo un decennio di indifferenza assoluta, serve ricominciare dalle relazioni e dalle persone. «Mai come in questo periodo abbiamo toccato con mano l’inadeguatezza del sistema normativo e la solitudine dei servizi» insiste Biagio Sciortino, presidente di Intercear. E Dadone è d’accordo, «il paradosso che ci ha mostrato la pandemia è che tutto si è fermato tranne le tossicodipendenze. Dalla Relazione annuale al parlamento sulle droghe si evince che l’utilizzo della cocaina si è quadruplicato e sono state censite più di cento nuove sostanze psicoattive. Inutile andare dietro alle sostanze, dobbiamo lavorare sulle persone e sulla prevenzione». Il capo del Dipartimento Siniscalchi le fa eco: «Dobbiamo cogliere gli spunti di innovazione e la capacità di resilienza che i servizi hanno mostrato nel periodo della pandemia. Abbiamo bisogno di voi per un ragionamento sulla metodica e sulle modalità con cui vogliamo ripensare il sistema» spiega alle comunità. È il segnale che il cambiamento è possibile.
Il primo a raccoglierlo è Luciano Squillaci, presidente della Federazione italiana delle comunità terapeutiche: «Vogliamo ricostruire il sistema delle dipendenze su basi differenti per essere capaci di rispondere ai bisogni che negli ultimi 30 anni sono profondamente cambiati e differenziati. Per raggiungere questo obiettivo abbiamo bisogno dell’unità e del coinvolgimento di tutte le realtà che operano nelle dipendenze, delle Reti istituzionali e soprattutto delle Reti territoriali. Consapevoli che la riforma della normativa 309/90 è ormai necessaria e che si costruisce sui territori».
Il Testo unico sulle dipendenze, fermo al mondo del 1990 (eroina in vena, Aids, tossici come fantasmi per le strade) è il primo tabù da infrangere. Il mondo delle comunità, in accordo con le società scientifiche, ha lavorato in questi anni su una proposta di riforma del sistema che si fonda su tre pilastri: la centralità della persona e non della sostanza, appunto, «ovvero un processo integrato di presa in carico globale della persona. Il sistema di intervento si è tarato sempre più su un livello prestazionale per singola fase (prevenzione, presa in carico iniziale, disintossicazione, cura e riabilitazione, reinserimento sociale e lavorativo) – spiega Suqillaci –. Dobbiamo superare queste “categorie” in cui la persona viene inserita e per così dire “spacchettata”, ripartendo dalla prossimità, dalla complessità delle persone, pensando ad un intervento integrato, sociale e sanitario, includendo anche le dipendenze comportamentali, come il gioco d’azzardo».
Altro tema sul tavolo, la governance: serve costruire un modello capace di garantire il lavoro di rete e la condivisione, a livello nazionale ed a livello territoriale, dei diversi servizi del pubblico e del privato, senza limitarsi ad occuparsi delle singole competenze. «Un sistema sociosanitario di presa in carico che si completa con tutti gli attori chiamati ad interagire sui processi di prevenzione, cura, riabilitazione ed inserimento sociale e lavorativo» puntualizza Riccardo De Facci di Cnca. «Siamo partiti trent’anni fa da 1.300 morti di overdose e dall’emergenza Aids, con due tipologie di comunità. Oggi ne abbiamo 14 tipi, le nuove sostanze sono mille all’anno, 25mila i ragazzi che ci chiedono accoglienza nelle strutture. Dobbiamo esserci ed esserci in modo diverso: ripensare il sistema educativo, quello della riduzione del danno e della prossimità, arrivare prima, dimenticare che il carcere possa servire a superare il problema».
Ancora, a livello nazionale si deve consentire la proposizione, seppure nel rispetto delle autonomie sancite dal Titolo V della Costituzione, di indirizzi e linee guida capaci di superare l’attuale eccessiva frammentazione e difformità di intervento tra le diverse Regioni: «Attualmente abbiamo venti modalità differenti di affrontare la questione dipendenze, una per regione, che comporta una grande disparità di trattamento e di cura» ricorda Paolo Merello. Infine il nodo delle risorse: è fondamentale, insistono le comunità, rifinanziare il fondo di intervento per la lotta alla droga per sostenere i percorsi di prevenzione, di cura e riabilitazione e di inserimento socio-lavorativo, tramontati con la legge 328/2000. Risorse imprescindibili per un reale rilancio della sfida alle dipendenze.