"Che le forze di polizia operino violenza sui migranti è totalmente falso. Sono rimasto sconcertato nel leggere queste cretinaggini". Lo ha detto il prefetto Mario Morcone, capo Dipartimento immigrazione del Viminale, in merito al rapporto di Amnesty International che parla di casi di pestaggi, maltrattamenti ed espulsioni illegali negli hotspot.
"Amnesty - ha aggiunto - costruisce i suoi rapporti a Londra, non in Italia". Il dossier dell’organizzazione ha sollevato un vespaio e c’è chi, come il capo della polizia, arriva a mettere in dubbio che si tratti di racconti raccolti dal vero, parlando “presunte testimonianze” in forma anonima di migranti “che non risiedevano in alcun hot spot”.
La smentita di Gabrielli
Pertanto, “a tutela dell’onorabilità e della professionalità dei tanti operatori di polizia che con abnegazione e senso del dovere stanno affrontando da lungo tempo questa emergenza umanitaria, smentisco categoricamente che vengano utilizzati metodi violenti sui migranti sia nella fase di identificazione che di rimpatrio", ha reagito Franco Gabrielli, rincuorato anche dalla Commissione europea a cui “non risulta che negli hot spot italiani si sia verificata alcuna delle violazioni dei diritti fondamentali dei migranti, come denunciato nei giorni scorsi da un rapporto di Amnesty International”.
Le modalità di lavoro di Amnesty sono note. Le testimonianze vengono raccolte dagli operatori, vagliate una per una, infine incrociate con riscontri concreti. La metodologia seguita dai ricercatori viene presentata proprio in apertura del rapporto: “Le informazioni presentate in questo documento sono state raccolte da rappresentanti di Amnesty International durante il 2016, attraverso quattro visite a diverse città e centri di accoglienza in Italia: Roma, Palermo, Agrigento, Catania e Lampedusa (marzo), Taranto, Bari e Agrigento (maggio), Genova e Ventimiglia (luglio), Roma, Como e Ventimiglia (agosto). Alcune informazioni sono basate su precedenti visite in Italia, comprese quelle ai centri di accoglienza di Lampedusa e Pozzallo a luglio 2015”.
Durante queste visite, Amnesty International ha intervistato 174 rifugiati e migranti e ha avuto conversazioni più brevi con molti altri.
Nel corso dell’investigazione gli operatori hanno beneficiato dell’aiuto di numerosi agenti di polzia, tuttavia è stato espresso il rammarico “per il fatto che il direttore centrale per l’immigrazione e la polizia delle frontiere del ministero dell’Interno, prefetto Giovanni Pinto, il cui ruolo è centrale in questo ambito, non abbia potuto rendersi disponibile per un incontro con Amnesty International e non abbia risposto alla lettera che l’organizzazione gli ha inviato a giugno 2016, chiedendo informazioni su screening e iter al quale sono sottoposti i nuovi arrivati”.
Le lettere al Viminale
Durante l’anno, Amnesty International ha inoltre inviato due lettere al ministro dell’Interno, Angelino Alfano, “esprimendo preoccupazione in relazione ai risultati provvisori della ricerca e chiedendo informazioni sull’uso della forza e della detenzione per il rilevamento delle impronte digitali dei nuovi arrivati e sulla riammissione di cittadini di paesi terzi, in particolare del Sudan. Il ministro Alfano non ha risposto ad alcuna delle lettere”. Tutto questo lo si può leggere nelle prime pagine del report, come dire che se vi fosse stata una maggiore disponibilità delle autorità forse le smentite avrebbero potuto essere motivate prima della pubblicazione.
“Siamo dispiaciuti per i toni e per il contenuto di alcune reazioni alla pubblicazione del rapporto "Hotspot Italia" descritto come un insieme di "cretinaggini" e di "falsità" "costruite a Londra e non in Italia".
Il rapporto in questione è, al contrario, un lavoro di ricerca molto serio, frutto di centinaia di ore di colloqui con rifugiati e migranti, autorità e operatori di organizzazioni non governative svoltisi in dieci diverse città italiane", spiega in serata Amnesty con una nota ufficiale. "Le informazioni incluse nel rapporto sono state messe a disposizione delle nostre autorità con largo anticipo sulla data di pubblicazione affinché avessero modo di commentarle".
Nel rapporto Amnesty International da una parte riconosce, "come già avvenuto in passato, il lavoro straordinario svolto dall'Italia nel salvataggio di vite umane in mare e il fatto che la stragrande maggioranza delle forze di polizia si siano comportate in maniera professionale, dall’altra fornisce i resoconti di alcuni casi di maltrattamento che avrebbero avuto luogo sulla terraferma e di alcuni casi di espulsioni verso paesi in cui vi è il rischio che le persone rimpatriate diventino vittime di gravi violazioni dei diritti umani".
Di fronte alla gravità degli episodi denunciati ci aspettiamo approfondimenti e risposte, come quello molto fruttuoso che abbiamo avuto oggi pomeriggio in occasione di una lunga riunione con il Garante dei diritti delle persone private della libertà. A partire dalle raccomandazioni contenute nel nostro rapporto, Ci aspettiamo non dinieghi a priori. Ci aspettiamo, una riflessione sui limiti del c.d. approccio hotspot che, oltre a mettere a rischio i diritti umani di rifugiati e migranti, sta dando frutti davvero esigui”.
"Dopo tre giorni mi hanno portato nella "stanza dell'elettricità". C'erano tre agenti in divisa e una donna in borghese. A un certo punto è entrato nella stanza anche un uomo senza divisa che parlava arabo […] i poliziotti allora mi hanno chiesto di dare le impronte digitali e io mi sono rifiutato. Allora mi hanno dato scosse con il manganello elettrico".
E' la testimonianza di Djoka, un ragazzo di 16 anni del Sudan, arrivato in Italia il 7 giugno 2016. Quando è sbarcato in Sicilia, stando al suo racconto, lo hanno portato in un ufficio di polizia dove è rimasto detenuto. "Mi hanno dato - prosegue il suo racconto - scosse con il manganello elettrico diverse volte sulla gamba sinistra, poi sulla gamba destra, sul torace e sulla pancia. Ero troppo debole, non riuscivo a fare resistenza e a un certo punto mi hanno preso entrambe le mani e le hanno messe nella macchina. Non riuscivo a oppormi".
Le autorità italiane - scrive Amnesty - hanno dichiarato che il loro successo nell'aumentare il tasso di rilevamento delle impronte digitali agli arrivi, a partire dalla seconda metà del 2015, è dovuto a una diminuzione degli arrivi di persone di alcune nazionalità che generalmente "rifiutano di dare le impronte digitali, oltre alla capacità della polizia di "negoziare" con le persone appena arrivate e di persuaderle, separando quelli che si rifiutavano e suddividendo le persone o i piccoli gruppi tra diversi uffici di polizia in diverse città".
Tuttavia, è evidente "che l'uso di misure coercitive ha fatto la sua parte. La realtà è che, tra la fine del 2015 e l'inizio del 2016, la polizia italiana ha introdotto strategie più aggressive per costringere le persone a fornire le impronte digitali, incluso l'uso di forza fisica e di detenzione prolungata, portando a gravi violazioni dei diritti umani".
Il sindacato di polizia della Cgil
Il governo italiano, sotto la pressione delle istituzioni dell'Ue e degli altri stati membri, ha indotto questo cambiamento "forzando la mano, in senso metaforico e letterale". I sindacati di polizia hanno condannato il dossier. Seppure con qualche distinguo. "Il rapporto di Amnesty International sulle presunte violenze commesse dalle forze di polizia a danno dei migranti in Italia è molto grave. Ci auguriamo che gli episodi segnalati, frutto di interviste ai migranti, siano circostanziate e non frutto della disperazione, della frustrazione e dei disagi di persone che hanno patito disagi infiniti”, afferma Daniele Tissone, segretario generale del sindacato di polizia della Cgil. “Quando leggiamo che alcuni migranti avrebbero addirittura denunciato l'utilizzo di manganelli elettrici, ci permettiamo di segnalare che non esistono strumenti simili in dotazione alla polizia italiana". Ed anche questo potrebbe essere materia per una inchiesta.