ANSA
Indagato nell’inchiesta della procura di Trapani sulla nave Iuventa dell’ong tedesca Jugend rettet, don Mosè Zerai è tornato a denunciare la situazione dei migranti che si trovano in Libia.
Lo ha fatto attraverso il blog della sua agenzia Habeshia. Scrive il sacerdote di origine asmarine oggetto nei giorni scorsi di numerosi attacchi (essere complice dei trafficanti, le stesse accuse avanzate dal regime dittatoriale dell’Asmara cui lui si oppone) da parte di alcune testate per il suo impegno umanitario a favore dei profughi soprattutto eritrei:«Il blocco per le navi delle Ong a 97 miglia dalle coste africane, ordinato dal governo di Tripoli con il nulla osta ed anzi il plauso dell’Italia e dell’Ue, chiude il cerchio di quella che appare quasi una guerra contro i migranti nel Mediterraneo».
Don Mosè, che denuncia la detenzione inumana nelle carceri libiche dal 2008, rincara la dose. Ricordando che «la Corte Penale Internazionale ha aperto un’inchiesta su quanto sta accadendo ai migranti in Libia nei cosiddetti "centri di accoglienza" e su certi episodi che riguardano la stessa Guardia Costiera libica, avanzando l’ipotesi anche di crimini contro l’umanità», il prete eritreo sottolinea che «chiunque sia artefice di questa politica di respingimento e chiusura totale e chiunque la sostenga - sorvolando, tra l’altro, sul fatto che la Libia si è sempre rifiutata di firmare la Convenzione di Ginevra sui diritti dei rifugiati - si rende complice di tutti questi orrori e prima o poi sarà chiamato a risponderne, anche di fronte a una corte di giustizia».
Zerai riflette sulle lancette dl tempo che dopo questi giorni convulsi sono improvvisamente tornate indietro nel Mediterraneo di almeno quattro anni. Lui ha sempre respinto le accuse di aver avuto contatti attraverso chat segrete con i trafficanti di uomini e che dice di aver sempre mandato e mail all’Acnur, alla Guardia costiera italiana e a quella maltese e ad alcune ong per segnalare la posizione di barconi o gommoni in difficoltà. Dai profughi partivano allarmi indirizzati al suo numero di cellulare, scritto perfino sui muri delle galere libiche e Zerai lo ha sempre comunicato a chi poteva intervenire.
È quello che chiarirà ai magistrati che lo hanno indagato. Ma ora che succederà in mare? Secondo don Zerai «la situazione dei soccorsi ai battelli carichi di profughi che chiedono asilo e rifugio in Europa viene riportata a quella creatasi all’indomani dell’abolizione del progetto Mare Nostrum quando, dovendo partire le navi da centinaia di chilometri di distanza per rispondere alle richieste di aiuto, ci fu immediatamente una moltiplicazione delle vittime e delle sofferenze». Non a caso, «prima Medici Senza Frontiere e poi anche Save the Children e Sea Eye, hanno deciso di sospendere le operazioni di salvataggio in mare».
Secondo il prete eritreo, «la decisione di dare mano libera alla Libia purché, attuando veri e propri respingimenti di massa, si addossi il lavoro sporco di fermare profughi e migranti prima ancora che possano imbarcarsi o a poche miglia dalla riva, è il capitolo conclusivo della politica» che, iniziata con il Processo di Rabat (2006) e proseguita con il Processo di Khartoum (novembre 2014), con gli accordi di Malta (novembre 2015) e il patto con la Turchia (marzo 2016), «mira a esternalizzare fino al Sahara le frontiere della Fortezza Europa, confinando al di là di quella barriera migliaia di disperati in cerca solo di salvezza da guerre, persecuzioni, fame, carestia e intrappolando nel caos della Libia quelli che riescono a entrare o sono intercettati in mare e riportati di forza in Africa».
Zerai fa appello «alla comunità internazionale e alla società civile dell’intera Europa perché contestino le scelte delle istituzioni politiche dell’Ue e dei singoli Stati e le inducano a un radicale ripensamento, revocando tutti i provvedimenti di blocco, istituendo canali legali di immigrazione e riformando il sistema di accoglienza, oggi diverso da Paese a Paese».
Intanto, personalità del mondo politico, rappresentanti dell'associazionismo. giuristi, giornalisti, semplici cittadini hanno sottoscritto un appello di ADF (Associazione Diritti e Frontiere) a favore di don Mosé Zerai. http://www.a-dif.org/2017/08/12/chi-denuncia-don-mussie-infanga-ognunao-di-noi/