Nella fase delle indagini preliminari, il procuratore aggiunto di Milano Tiziana Siciliano e il pm Sara Arduini avevano chiesto al gip l'archiviazione del procedimento. Allora, però, Luigi Gargiulo aveva imposto loro di formulare la richiesta di rinvio a giudizio. Stesso contegno, nella sostanza, all'udienza in Corte d'assise: la lunga arringa dei due magistrati non ha sostenuto l'accusa (come avrebbe imposto il loro ruolo) ma una seconda difesa – che si è aggiunta a quella tecnica – a beneficio di Marco Cappato: il tesoriere dell'associazione radicale Luca Coscioni, imputato del reato di istigazione e aiuto nel suicidio in relazione alla morte di Fabiano Antoniani, da lui accompagnato in Svizzera per ricorrere al suicidio assistito e porre così fine alle sofferenze di cieco tetraplegico.
Doppia la strategia di quella della pubblica accusa: sotto un primo profilo, tentare di dimostrare sia che "dj Fabo" si era già perfettamente autodeterminato al suicidio (facendo così venir meno, in capo all'imputato, la fattispecie delittuosa di "istigazione") sia che Cappato non ha preso parte alle materiali operazioni da cui è scaturita la morte (tentando così di proscioglierlo anche dalla fattispecie di "aiuto"). Qualora invece la Corte ritenesse Cappato punibile – ed è il secondo profilo dell’arringa – i magistrati inquirenti hanno chiesto la rimessione alla Corte costituzionale dell'articolo 580 del Codice penale, quello che punisce il reato.
A loro dire infatti la norma – anteriore alla nostra Carta fondamentale – tutelerebbe qualsiasi volontà personale. In verità, sia la giurisprudenza italiana che europea (pure citata in aula a Milano) hanno cristallizzato principi opposti. La Cassazione, per esempio, con sentenza 3147/98 (mai contraddetta), ha stabilito che «il nostro ordinamento» ha «inteso tutelare il bene supremo della vita, sanzionando penalmente qualsiasi interferenza o partecipazione, sia di natura psichica o morale che di natura fisica o materiale, non soltanto nella ideazione, ma anche nella realizzazione del proposito suicida espresso da altri». E la Corte europea dei diritti dell'uomo (Cedu), con la sentenza Pretty/Regno Unito del 2002, ha sancito la liceità del reato di aiuto nel suicidio. Diritto, ma non solo.
All'udienza, infatti, Siciliano ha pronunciato anche affermazioni extra giuridiche: «Viene da dire se questo è un uomo», ha detto riferita ad Antoniani. Poi, parlando di «diritto alla dignità della morte», ha aggiunto che «noi pubblici ministeri rappresentiamo lo Stato. E lo stato è anche l'imputato Marco Cappato». Quindi: «Anche nell'Utopia di Tommaso Moro del 1516 si diceva che c'è nella sofferenza umana un diritto a scegliere la fine ma sotto il prudente controllo di un sacerdote o di un magistrato». A complicare la partita, oggi, la legge sul biotestamento che pubblicata l'altro ieri in Gazzetta ufficiale entrerà ufficialmente in vigore il 31 gennaio. Una legge che «inizia a dare indirettamente i suoi frutti di morte», commenta il deputato Gian Luigi Gigli, presidente del Movimento per la vita. Per Alberto Gambino, prorettore dell'Università europea di Roma e presidente di Scienza&Vita «o siamo finiti nel paese collodiano di Acchiappacitrulli, dove la giustizia funziona a rovescia, oppure stiamo assistendo all'apoteosi dell'ipocrisia».