sabato 1 giugno 2024
Una storia di riscatto e la necessità di individuare cure adeguate per questa e le altre malattie legate all'alimentazione che nel 2003 ha fatto 3.780 vittime. Il 2 giugno l’appuntamento mondiale
Micaela Bozzolasco con Stefano Tavilla, con cui ha fondato il Fiocchetto Lilla

Micaela Bozzolasco con Stefano Tavilla, con cui ha fondato il Fiocchetto Lilla - .

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Micaela, che di cognome fa Bozzolasco, sorride ai ragazzi in platea e chiede scusa per l’emozione: «Non sono abituata a parlare davanti a così tante persone». L’aula di università (è la Cattolica a Roma, siamo ai primi di maggio) è stracolma e tutti pendono dalle sue labbra, perché la storia che racconta è di quelle che entrano nelle ossa.

E dalle ossa incomincia, il termine che Micaela usa sempre per spiegare cosa è successo a lei, da poco più che bambina, quando è partita la sua storia infinita di anoressia. Proprio come avviene a un adolescente su tre ormai che, secondo le ultime agghiaccianti statistiche, dei cosiddetti “disturbi alimentari” inizia a soffrire prima dei 14 anni: «Mi sentivo sola, sentivo il freddo delle ossa. Sentivo che nessuno riusciva a vedermi per quella che ero e la prima ero io».

Di anoressia, questa quarantenne genovese che sembra una ragazzina e non smette di sorridere, è stata ammalata per metà della sua vita. Ma della malattia, del “peso minimo” raggiunto, degli ospedali, del terrore negli occhi di mamma e papà che non capivano cosa le stava succedendo, e perché avesse deciso di non mangiare fino a morire, non vuol parlare. «Non sono i numeri il punto, non le misure».

Il punto è Micaela, con la sua guarigione: «È servito tanto tempo per capire che dovevo chiedere aiuto. È servito non fermarsi davanti ad alcuni medici che mi hanno parlato del mio “disturbo” come se fosse un mio capriccio, una cosa che potevo controllare, che sceglievo – spiega -. C’era bisogno di cure adeguate, che alla fine ho trovato. C’era bisogno di uno sguardo su di me, di relazioni che lentamente sono riuscita a cucire e ricucire, quando ho tolto gli occhiali da sole con cui vedevo tutto nero e ho ricollegato la testa col mio corpo».

Non è un racconto dell’orrore a impressionare la platea di giovani, visibilmente commossi, non la discesa negli inferi della privazione di cibo, del dimagrimento, della solitudine. A Micaela si illuminano gli occhi quando parla della prima mattina in cui uscendo di casa ha visto la temperatura sulla croce delle farmacia: «Perché quando camminavo, prima, lo facevo con la testa bassa, vergognandomi di chi ero». La vita è ricominciata e lei quando si sveglia non sta nella pelle: «Ho perso troppo tempo, ho sprecato troppe giornate. Sono attraversata dalla voglia di vivere».

È la molla che l’ha spinta a non fermarsi alla sua guarigione, ma a darsi da fare perché anoressia e bulimia siano riconosciuti come malattie, perché le famiglie non si sentano più sole. Ed è ciò che l’ha messa sulla strada di Stefano Tavilla, un papà che sua figlia non è riuscito a salvarla, con cui ha fondato il Fiocchetto Lilla, l’associazione che in Italia è in prima linea sul fronte di questa emergenza di cui il 2 giugno si celebra la Giornata mondiale.

Un'altra foto di Micaela con Stefano Tavilla e un altro membro del Fiocchetto Lilla

Un'altra foto di Micaela con Stefano Tavilla e un altro membro del Fiocchetto Lilla - .

Poche, pochissime le buone notizie. E non solo perché in Italia nel 2000 le persone ammalate erano 300mila e oggi superano abbondantemente i 3 milioni (di cui larga parte adolescenti, come si diceva poco fa, e sempre più maschi) e perché di cibo l’anno scorso le vittime sono state 3.780, il numero che proprio quelli del Fiocchetto Lilla portano cucito sulle magliette. «Tra i disturbi dell’alimentazione ci sono sempre più spesso anche patologie meno note come l’ortoressia (ossia la ricerca ossessiva di una dieta sana), la vigoressia (l’eccessiva attenzione per la forma fisica), la diabulimia (pazienti con diabete di tipo 1, che omettono l’insulina per dimagrire ) o il disturbo da alimentazione incontrollata (Binge eating disorder), caratterizzato da grandi abbuffate senza metodi di compensazione, a cui segue un aumento di peso e, spesso, l’insorgere di patologie come l’obesità» spiega Laura Dalla Ragione, psichiatra, direttrice della rete umbra (Usl1) contro i Disturbi del comportamento alimentare, docente del Campus Biomedico di Roma e direttrice del Numero Verde “Sos Disturbi alimentari” 800180969 istituito a Todi dalla presidenza del Consiglio e dall’Istituto superiore di sanità. Per Dalla Ragione chi lavora nel campo dei disturbi alimentari si è trovato poi negli ultimi anni a dover combattere contro un potentissimo fattore di diffusione del disturbo: i social media.

«Oggi i canali attraverso cui ragazzi e ragazze possono attingere a informazioni riguardo a metodi pericolosi per perdere peso sono moltiplicati a dismisura – rileva l’esperta –. E non solo: sono a portata di tutti App per il conteggio calorico o il dispendio energetico, e anche il semplice utilizzo dei social ha un’influenza sull’autostima e contribuisce a cambiare l’immagine corporea di chi ne fa uso, determinando un aumento di sintomi depressivi, l’interiorizzazione di ideali di magrezza, pratiche di monitoraggio del corpo».

Il tempo (immane) trascorso online, insomma, e lo sviluppo di malattie legate all’alimentazione appaiono fortemente correlati nei più giovani. La Giornata che si celebra oggi è l’occasione per battere un colpo, a pochi mesi dalle polemiche col governo per il taglio, poi rientrato, dei fondi alla rete di assistenza già molto carente sul nostro territorio: se infatti l’istituzione degli ambulatori multidisciplinari ha costituito un importante passo in avanti nel percorso di cura dei pazienti, «questi ultimi sono ancora presenti in modo troppo disomogeneo sul territorio italiano – continua Dalla Ragione –. Delle 136 strutture censite nel 2023 dall’Iss il maggior numero dei centri (69) si trova nelle regioni del Nord, al Centro se ne trovano 26, 41 sono distribuiti tra il Sud e le Isole. Il ministero della Salute ha deciso di rifinanziare con 10 milioni di euro per il 2025 il Fondo nazionale, ma attendiamo ancora di vedere i cosiddetti “disturbi dell’alimentazione” inseriti nei Livelli essenziali di assistenza (Lea) in modo da assicurare l’assistenza ai pazienti in maniera strutturale». E sperare che la storie come quelle di Micaela non restino casi isolati o colpi di fortuna.

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