sabato 17 marzo 2018
Reportage nell’area sottoposta a sequestro, dove sono "tombate" 300mila tonnellate: bonifiche ferme e si continua a coltivare nei terreni confinanti. La commissione parlamentare: un grosso bubbone
Discarica di Maddaloni, una bomba a orologeria
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Sul campo stanno crescendo piantine di grano, ben allineate tra i solchi dell’aratro. Poco più avanti si vedono ancora i fiori gialli dei 'friarelli', da poco raccolti. Subito a fianco, confinante coi campi, una rete metallica recinta una 'collinetta'. Sulla rete, ogni dieci metri, un piccolo cartello bianco con la scritta 'Pericolo fonti inquinanti' e il simbolo del segnale stradale di pericolo col punto esclamativo. Vicino, attaccati con lo scotch, dei fogli intestati 'Carabinieri' con la scritta 'Area sottoposta a sequestro penale'. Piove, ma all’interno dell’area recintata, da alcune spaccature del terreno, quasi dei crateri, si alza del fumo biancastro e l’aria è piena di un forte odore chimico. Siamo a 'cava Monti', nel Comune di Maddaloni, «un grosso bubbone» lo definisce la Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti (Commissione Ecomafie) che nella relazione sulla Campania, approvata in chiusura di legislazione, dedica a questo disastro un intero paragrafo. E non è un’esagerazione. Qui, come riporta la commissione, «sono state 'tombate' 300mila tonnellate di rifiuti speciali, pericolosi, tra gli anni Ottanta e gli anni Novanta; c’è inoltre un riversamento di 30mila tonnellate di percolato direttamente in falda; una conseguente contaminazione della falda acquifera da arsenico, ma anche e soprattutto da metalli pesanti».

Infatti, come abbiamo scritto lo scorso 9 dicembre (Avvenire si è occupato della discarica più volte) l’11 novembre il commissario Benedetto Basile che guida il Comune dopo le dimissioni della maggioranza dei consiglieri, aveva emesso un’ordinanza per sospendere «la coltivazione di prodotti agricoli e la loro commercializzazione, nonché il pascolo in un raggio di 500 metri dal perimetro» della discarica. In tutto 80 ettari. Un divieto che si aggiungeva all’intervento della Procura di Santa Maria Capua Vetere che aveva sequestrato 61 ettari e 40 pozzi, proprio quelli che vediamo davanti a noi e che sono stati usati per irrigare i campi che continuano a essere coltivati malgrado il divieto.

Qui la magistratura ha fatto ampiamente il suo dovere, individuando inquinamento e responsabilità. E infatti i proprietari della discarica sono a processo per disastro ambientale e corrompimento delle acque. E il procuratore aggiunto, Raffaella Capasso, citata nella Relazione, spiega: «Abbiamo trovato che, a monte, i pozzi non erano inquinati e a valle sì. È chiaro, in questo caso, qual è la fonte inquinante: è la discarica». Chiarissimo.

Non altrettanto bene hanno operato le altre istituzioni. Malgrado le continue sollecitazioni della Procura e anche della Commissione Ambiente del Senato, con una propria risoluzione frutto di un approfondimento specifico, solo da alcuni mesi l’area è stata recintata, per evitare l’accesso dove l’aria è avvelenata e il terreno soggetto a crolli, provocati dalle reazioni chimiche tuttora in atto. Ma è l’unico intervento realizzato. Come scrive la Commissione Ecomafie, il Comune di Maddaloni non ce la fa da solo «per mancanza di adeguate professionalità» e perché in dissesto finanziario. Così «aveva chiesto alla Regione di sostituirsi per le procedure di attuazione della bonifica, quindi era stato istituito un tavolo tecnico per la soluzione del problema». La Regione ha previsto un primo stanziamento di 175mila euro, salito poi a 250mila ma solo per ulteriori accertamenti. Anche se la Commissione Ambiente scrive che «il sito può essere sicuramente qualificato come 'discarica' e non come 'potenzialmente inquinato', poiché la contaminazione è accertata».

Insomma fare altri studi è inutile. Ma ad oggi, denuncia la relazione sulla Campania, non è partito nulla. Ed è lontana la bonifica anche se la Regione ha inserito Cava Monti tra le priorità da affidare a Invitalia. Ma siamo solo ai primi passi. Intanto il 'bubbone' è sempre lì pieno di veleni, compresa un’enorme quantità di batterie d’auto, che continuano a reagire, inquinando la falda e spandendo nell’aria, come ha accertato l’Arpac, «solventi aromatici con prevalenza di benzene, in concentrazioni molto elevate, nonché significative concentrazioni di clorobenzene, cumene, n-esano, etilbenzene, stirene, trimetilbenzene isobutilacetato, toluene, xilene, eptano». Ecco la ragione dei rigidi divieti che evidentemente non vengono rispettati. E i gravissimi ritardi certo non aiutano.

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