venerdì 13 dicembre 2024
Di fronte al declino demografico il presidente della Fondazione per la Natalità suggerisce che la Presidenza del Consiglio assuma poteri speciali. Gli stranieri? Bisogna attirare famiglie
Gigi De Palo

Gigi De Palo - Imagoeconomica

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«Dal punto di vista della demografia l’Italia è come un Paese terremotato. E cosa si fa quando c’è un terremoto? Si nomina un commissario. Ecco, noi abbiamo bisogno di un commissario alla natalità. Chi? Fino a una decina di anni fa avrei detto il ministro dell’Economia, oggi la situazione è così grave che deve farlo la figura del presidente del Consiglio». Gigi De Palo, 48 anni, 5 figli, presidente della Fondazione per la Natalità - una sua creatura - si prepara a chiudere oggi a Milano un Tour della natalità durante il quale ha offerto ai territori un’occasione per parlare di politiche familiari e demografia. Emilia-Romagna, Marche, Lazio, Sicilia, e ora Lombardia. Quasi un pellegrinaggio, con gli abituali sandali ai piedi in ragione di un voto, che porterà alla quinta edizione degli Stati Generali della Natalità a novembre 2025.

Una domanda sorge spontanea: di fronte a numeri che ogni anno dal 2008 registrano solo crolli delle nascite ed escludono la speranza di una ripresa, De Palo non si è stancato di parlare di natalità?

No, perché a guidare le tante mamme e papà che accompagnano questo cammino iniziato dieci anni fa portando 1.126 passeggini vuoti in piazza del Campidoglio, c’è il messaggio che Giovanni Paolo II lanciò ai giovani a Tor Vergata per la Giornata mondiale della Gioventù del 2000: “Non vi rassegnerete”. Ecco, noi non ci rassegniamo. Perché la natalità è l’architrave di tutto il sistema, di una società umana, e mi meraviglio che a porsi il problema sia solo una parte. Grazie anche agli Stati Generali negli ultimi cinque anni abbiamo dato visibilità mediatica a questo tema.

Perché un Tour della natalità nelle regioni?

In Italia ci sono tante misure a sostegno delle coppie che desiderano figli, ma sono frammentate e manca una vera regia. Esistono i sostegni statali, comunali, regionali, delle singole aziende, una offre l’asilo nido ai dipendenti, un’altra 270 euro al mese a figlio… La natalità ha bisogno di politiche nazionali, ma anche di interventi locali legati alle specificità dei territori. La sensazione è che mancando una visione d’insieme anche l’efficacia delle singole misure ne risenta. Per questo stiamo lavorando a una rete di amministratori locali attenti al tema della natalità, ma soprattutto penso sia necessario avere un Commissario della natalità nazionale, ed è bene che oggi sia la presidente del Consiglio Meloni a ricoprire questo ruolo.

Che cosa ha imparato dal confronto diretto con tanti amministratori?

Che abbiamo una grande ricchezza. Non sempre c’è piena consapevolezza della gravità del problema demografico, mentre il bisogno che emerge è soprattutto quello di individuare politiche e strumenti adatti. L’Italia è un Paese in cui le risorse tipiche che determinano la forza di una nazione, dall’energia alle materie prime, sono carenti. La nostra vera forza sono le persone, gli italiani, le famiglie, il nostro genio, la cultura. Se si toglie all’Italia il suo patrimonio umano, come sta avvenendo con la crisi demografica, le si toglie tutto.

Un reparto natalità

Un reparto natalità - Dal Web

Cosa pensa della possibilità di affrontare l’invecchiamento della popolazione e la crisi della natalità con la politica migratoria e l’accoglienza dei migranti?

L’Italia deve uscire dalla dinamica di contrapposizione che sta conoscendo, un dualismo che ci invischia e limita. Basta con le chiusure dei porti! Parliamo di cittadinanza? Bene, ma anziché dire Ius scholae, Ius culturae o Ius soli io direi Ius familiae. Diamo cittadinanza alle famiglie, attiriamo le famiglie, perché chi emigra con la famiglia compie una scelta di lungo periodo, porta una visione di futuro. Vedere nell’immigrazione solo una risorsa per il lavoro e per le imprese, oppure perché serve alle nostre pensioni, è fare speculazione sociale, è colonialismo previdenziale. Parliamo invece di persone, e di famiglie.

La natalità rischia, e non da ora, di essere un tema divisivo. C’è chi ne coglie l’aspetto identitario, chi la pressione che può esercitare sulle persone e i loro percorsi di vita. Come la vede?

Dovremmo saper andare oltre le ideologie e superare certe visioni un po’ ristrette. La natalità è un argomento che ha a che fare con la libertà, perché tutti possano essere liberi di scegliere. Chi non vuole avere figli è libero di non averne, chi li vuole, invece, è un po’ meno libero. Le donne, soprattutto, in Italia non sono così libere di scegliere, nel momento in cui lavoro e maternità continuano a essere alternative difficili da armonizzare.

Quello che si nota oggi in tutto il mondo sviluppato, non solo in Italia, è un calo dei tassi di fecondità anche dove le risorse economiche per la famiglia non mancano. Che idea si è fatto?

Posto che all’origine del calo della fertilità c’è anche un grande tema sanitario, che andrebbe affrontato seriamente, credo che si debba fare un po’ di chiarezza. In Italia la seconda causa di povertà dopo la perdita del lavoro è la nascita di un figlio. Fino a che sarà così, fino a che le donne desiderano mediamente 2,4 figli ma ne mettono al mondo 1,2, di cosa stiamo parlando? Certo, ci sono anche aspetti culturali nelle scelte di vita, ma questo argomento troppo spesso è usato come scusa per non fare nulla. Dire che non sono solo i soldi a determinare le scelte delle persone, e che il problema è un altro… è solo l’alibi perfetto di chi non vuole fare. A chi afferma che i sostegni economici non servono rispondo: introduciamo in Italia le stesse misure presenti in Francia e Germania, poi vediamo come vanno le cose.

Lei è il padre morale dell’Assegno unico, avendolo sostenuto e promosso con insistenza nel periodo in cui è stato presidente del Forum della famiglie, dal 2015 al 2023. Cosa serve veramente per accompagnare il desiderio di essere genitori?

Una sola misura non basta, è chiaro, in particolare se deve ancora essere migliorata e potenziata, l’esperienza insegna che è necessario un ventaglio ampio di interventi. L’aspetto economico e fiscale, tuttavia, è la base. Uno Stato che vara una riforma fiscale veramente equa e generosa, oltre che universale, a favore di chi desidera crescere dei figli, manda un messaggio chiaro, fa capire dove vuole investire e quali sono le priorità. Un fisco a misura di famiglia è una questione di giustizia sociale, ma è anche un modo per fare cultura a favore della famiglia e della natalità.

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