venerdì 20 settembre 2024
Dopo il sì della Camera il "pacchetto" va in Senato. Ma sindacati, giuristi e associazioni sono preoccupati per una restrizione del "diritto al dissenso" e per altre norme. E annunciano mobilitazioni.
L'aula di Montecitorio

L'aula di Montecitorio - Ansa

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Dopo il primo sì della Camera dei deputati, sta per essere incardinato al Senato il disegno di legge d'iniziativa governativa in materia di sicurezza. Un testo - classificato come "ddl 1660", intitolato "Disposizioni in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell’usura e di ordinamento penitenziario" e proposto dai ministri di Interno, Giustizia e Difesa, Matteo Piantedosi, Carlo Nordio e Guido Crosetto - fortemente voluto dall'esecutivo e dalla maggioranza. Ma che invece le opposizioni, sia durante il passaggio in commissione che nel voto in Aula a Montecitorio, hanno duramente criticato, definendolo un condensato di «propaganda» e di «repressione», una «follia giustizialista che introduce oltre 20 nuovi reati o aggravanti» e contiene norme di dubbia costituzionalità, annunciando un'intensa attività parlamentare di sbarramento quando l'iter partirà a Palazzo Madama. Nel frattempo, fuori dal Parlamento, crescono perplessità e timori nella società civile, rispetto ai contenuti del testo nella sua versione attuale. Dubbi che accomunano sigle sindacali, giuristi di vaglia, magistrati, associazioni di volontariato ed enti umanitari, come ha potuto verificare Avvenire, sollecitando valutazioni e pareri. La prima a mobilitarsi, lunedì prossimo alle ore 18, sarà la Cgil, che ha convocato un presidio davanti alla prefettura di Genova per denunciare un testo che - dichiarano le segretarie confederali Daniela Barbaresi e Lara Ghiglione, è «un condensato di propaganda e populismo istituzionale, declinato solo come azione repressiva dei conflitti sociali e come politica punitiva, di giustizia e carcere».

La Cgil pronta a fare presidi davanti alle prefetture

Secondo i sindacalisti della Confederazione generale del lavoro, la parte più inquietante del disegno di legge è quella che contiene le sanzioni sulla cosiddetta "resistenza passiva": «Una vergogna che introduce norme pensate e volute per colpire in maniera indiscriminata chi esprime il proprio dissenso verso le scelte compiute dal Governo o che manifesta per difendere il posto di lavoro e contro le crisi occupazionali, pacificamente ma in modo determinato - si legge in una nota, che annuncia la protesta di lunedì -, prevedendo fino a due anni di carcere per chi effettua queste proteste nelle strade o in altri luoghi pubblici». Per le due dirigenti confederali «il principio che anima questo provvedimento è lo stesso del decreto Caivano, del decreto rave, della legge 50 impropriamente chiamata decreto Cutro», ossia con proposte che «vanno verso un inasprimento delle pene e la codificazione di nuovi reati che peraltro riducono gli spazi di dissenso e protesta, come i reati contro le manifestazioni o le occupazioni di immobili, arrivando a peggiorare il codice Rocco, con la non obbligatorietà del differimento della pena per le donne incinte e le madri di bambini fino a un anno di età. Norme con cui si danno risposte penali a problemi che sono soprattutto sociali e che non aumentano la sicurezza dei cittadini».

Le forti perplessità di giuristi e magistrati

Anche da una parte degli operatori del diritto, diversi profili penali disegnati dall'insieme di norme vengono osservati con perplessità. Secondo le toghe progressiste di Magistratura democratica, «colpisce la tendenza a introdurre nuove incriminazioni e a introdurre inasprimenti sanzionatori. E preoccupa, in secondo luogo, la costruzione di nuove fattispecie penali (o l’introduzione di aggravanti) che perseguono l’obiettivo di sanzionare in modo deteriore gli autori di reato che hanno commesso fatti nel corso di manifestazioni pubbliche o di iniziative di protesta». In generale, argomentano i magistrati di Md, nel testo è contenuta «una “visione” dei rapporti tra autorità e consociati fortemente orientata al versante dell’autorità, che coltiva l’ambizione di risolvere – con l’inasprimento di pene, l’introduzione di nuovi reati, l’ampliamento dei poteri degli apparati di pubblica sicurezza – problemi sociali che probabilmente potrebbero trovare più efficaci risposte senza usare per forza la leva penale». Scettico sulle prospettive ipotizzate dal pacchetto è pure Antonello Ciervo, docente di diritto pubblico presso Unitelma Sapienza di Roma, che appunta le proprie critiche su diverse misure, che definisce da «Stato di polizia».

Ad esempio, spiega, quella che «prevede l'arresto in differita anche per le manifestazioni pubbliche». In pratica, osserva, ti vengono a prendere a casa dopo aver visto il video della manifestazione; se alla polizia è sfuggito qualcosa, ex post ti arrestano per comportamenti che a questo punto anche discrezionalmente valuteranno come reato». Oppure, annota il professor Ciervo, rispetto all'aggravio di pena previsto «se la violenza o la minaccia è commessa al fine di impedire la realizzazione di un’opera pubblica o di un’infrastruttura strategica, il fatto che io commetta violenza o minacci un pubblico ufficiale in una manifestazione il cui obiettivo è la protesta contro un'opera pubblica è illogico». A suo parere, «non c'è nessun nesso di conseguenzialità tra l'aggravamento di pena e il fatto che io protesti in un corteo per la liberazione della Palestina o perché sono contrario al Ponte sullo Stretto di Messina. Perché dovrebbe aumentarsi la pena in questo secondo caso? Cosa faccio di più grave rispetto a una "normale" manifestazione?». Secondo il docente universitario, «è chiaro l'intento di criminalizzare le proteste ambientaliste». Una lettura che danno anche alcune associazioni di difesa dell'ambiente che nei giorni scorsi hanno diramato note e comunicati, denunciando il potenziale innesco di un futuro clima repressivo.

La Caritas: il divieto di Sim ai migranti irregolari è discriminatorio

Un'altra previsione che fa discutere è quella che vieta ai gestori telefonici di vendere una scheda Sim con numero di cellulare a stranieri non provenienti da Paesi europei che siano sprovvisti di permesso di soggiorno valido. «Non crediamo che la misura possa avere un reale effetto di deterrenza - ragiona Oliviero Forti, responsabile Immigrazione della Caritas italiana -. Rischia invece di essere una norma discriminatoria che va ad ostacolare il diritto di comunicare con i propri familiari nei paesi di origine e al contempo potrebbe alimentare il mercato nero delle Sim, con inevitabili conseguenze in termini di sicurezza». Secondo Forti, potrebbero essere «migliaia le persone interessate dal provvedimento, anche coloro che sono in attesa di ricevere un permesso di soggiorno, nonostante abbiano tutti i requisiti e abbiano concluso le relative procedure». Di tenore analogo le riflessioni di Filippo Miraglia, responsabile Immigrazione dell'Arci, convinto che le misure individuate nel provvedimento possano avere l'effetto di «disumanizzare e poi criminalizzare alcune categorie di persone, come i migranti, gli occupanti di case o chi manifesta a vario titolo, con un intento fortemente repressivo. Ma sono misure propagandistiche, che non garantiranno ai cittadini un incremento della sicurezza».

I nodi delle norme sulle carceri

​Altri dubbi si appuntano sulle disposizioni relative al mondo carcerario, come la stretta sulle proteste dei detenuti o l'aver reso facoltativo (e non più obbligatorio) il rinvio della detenzione in carcere per le condannate in stato di gravidanza o con figli sotto i tre anni d'età. Secondo la presidente del Tribunale di sorveglianza di Cagliari, Maria Cristina Ornano, si rischia «di alimentare la tensione già oggi molto forte nella popolazione detenuta», per via di nuovi reati come quello di “Rivolta all’interno degli istituti penitenziari”, che punisce chi promuove, organizza e dirige una rivolta all’interno del carcere, ma comprende «nella condotta di reato non solo il partecipare alla rivolta col ricorso alla violenza, ma anche con la resistenza, precisando ulteriormente che quest’ultima è integrata anche dalla mera resistenza passiva; previsione, quest’ultima, che appare di dubbia legittimità costituzionale». Altro nodo è quello riguardante la norma "anti-borseggiatrici Rom", come alcuni media l'hanno definita. Secondo la giudice Ornano, «si ritiene di far prevalere una presunta esigenza di sicurezza sulla salute e il benessere di individui innocenti, come i nascituri e i figli in tenerissima età di madri detenute, le quali (e con loro i bambini), con le nuove norme potrebbero venire incarcerate anche prescindere dalla reale pericolosità».

Considerazioni che arrivano anche da associazioni da anni impegnate sul fronte delle carceri e dell'assistenza ai migranti, come Antigone e l'Asgi, sconcertate dai contenuti del provvedimento. In generale, osserva Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, «il ddl sicurezza contiene un attacco al diritto di protesta come mai accaduto nella storia repubblicana, portando all'introduzione di una serie di nuovi reati con pene draconiane, anche laddove le proteste siano pacifiche». Secondo Gonnella, «così si colpiranno persone detenute che in carcere protestano contro il sovraffollamento delle proprie celle, gli attivisti che protestano per sensibilizzare sul cambiamento climatico, gli studenti che chiederanno condizioni più dignitose per i propri istituti scolastici, lavoratori che protestano contro il proprio licenziamento».

Inoltre, lamenta il presidente di Antigone, «se consideriamo anche il carcere per le donne incinte e le madri con figli neonati o per chi occupa un'abitazione, si vede come il governo abbia deciso di voler gestire numerose questioni sociali nella maniera più illiberale possibile, cioè reprimendole con l'utilizzo del sistema penale, anziché aprirsi al dialogo e all'ascolto». Perciò, è il suo appello, «chiediamo alle forze politiche di opposizione e anche a quelle moderate della maggioranza di non assecondare questi propositi e di fermare il disegno di legge nella discussione al Senato».

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