undefined - IMAGOECONOMICA
«L’abrogazione di una norma incriminatrice crea inevitabilmente un vuoto e determina una situazione di impunità... ». Scuote lentamente la testa, il presidente dell’Associazione nazionale magistrati Giuseppe Santalucia. Più che rassegnato, il tono pare quello di chi ha maturato, a quarantott’ore dal voto della Camera, l’amara consapevolezza del fatto che ormai, con l’approvazione definitiva del disegno di legge Nordio, la controversa cancellazione del reato di abuso d’ufficio sia divenuta realtà.
Presidente, potrebbe davvero essere un colpo di spugna, come alcuni ipotizzano?
La norma da oggi non c’è più. Ma c’erano le condanne passate in giudicato, che in un prossimo futuro saranno presumibilmente revocate, dopo le richieste dei condannati al giudice.
Quante condanne?
Fra tremila e quattromila, è stato calcolato, forse di più. Se non vogliamo chiamarlo colpo di spugna, definiamola una mini-amnistia chirurgica per i colletti bianchi. Nei fatti, agirà come un provvedimento di clemenza. Cosa peraltro paradossale, in un Paese in cui - perfino adesso che le carceri scoppiano di nuovo - indulto e amnistia sono sempre stati un tema tabù, arduo anche solo da menzionare.
Più che paradossale, sarebbe beffarda, visto che proprio riguardo alla situazione esplosiva delle carceri - sovraffollamento, tensioni, suicidi che aumentano - è stato varato un decreto legge dalle ricadute ancora incerte e forse poco incisive. Lei come lo valuta?
Mi sembra d’aver capito che il governo non ami la dicitura “svuotacarceri”. E, del resto, non mi pare che quel provvedimento lo sia. Noi non ci permettiamo di suggerire al governo cosa fare, ma una soluzione deve arrivare e presto: servono misure efficaci nel brevissimo tempo per decongestionare i penitenziari sovraffollati e alleviare lo stato di sofferenza, sia dei detenuti che del personale che vi lavora.
Torniamo all’abuso d’ufficio. Non sarà un passo del gambero? In 25 Stati europei, il reato d’abuso d’ufficio c’è ancora. E una direttiva Ue anti corruzione potrebbe renderne necessaria, per coerenza normativa, la reintroduzione.
L’abbiamo segnalato ripetutamente, quando siamo stati auditi in Parlamento: c’è un problema di compatibilità con gli obblighi internazionali. E la prova provata l’abbiamo avuta giorni fa, sempre col decreto legge sulle carceri, visto che l’esecutivo ha reintrodotto una fattispecie penale legata all’abuso d’ufficio, il peculato per distrazione, cancellata nel 1990. E l‘ha fatto richiamando espressamente quegli obblighi eurounitari, a conferma del fatto che la maggioranza di governo si sia resa conto di aver operato una scelta infelice e abbia provato a mettere una pezza.
Il Guardasigilli s’indigna se sente parlare di «reato spia» della corruzione. E lei?
Non intendo far indignare il ministro ancora una volta (sorride, ndr). Ma ribadisco che, se un pubblico ufficiale commette un abuso, non è da escludere che quel comportamento sia connessoa qualcosa di più grave (un passaggio di denaro, una tangente, ad esempio) suggerendo l’opportunità di approfondimenti. Pertanto, non è una «aberrazione» parlare di “reato spia”. O meglio, non lo era, visto che, dopo la cancellazione della fattispecie dal codice penale, quel faro non potrà più accendersi.
E la “gogna mediatico-giudiziaria” per gli indagati? Sindaci e amministratori locali per anni si sono lamentati del rischio a cui una semplice firma poteva esporli...
Mah. Dico solo che il dibattito pubblico sulla cosiddetta “paura della firma” poteva avere un senso prima della riforma del 2020, quando la fattispecie dell’abuso d’ufficio è stata talmente ristretta da rendere quei timori irragionevoli. Dopo, è diventato superato. E tuttavia, facendo leva su quelle argomentazioni datate, si è andati ad abrogare quel poco della norma incriminatrice che era rimasto. Una risposta che trovo francamente irrazionale.
Entro l’anno potrebbe arrivare una annunciata stretta sulle intercettazioni. Che idea se n’è fatto?
Ritengo sensato che si debba dare conto, quando si proroga l’intercettazione. Ma credo sia poco accorto stabilire un tetto massimo. Sarebbe una norma astratta e poco felice, quella che non dovesse considerare le concrete necessità investigative. Non ha senso porre un limite insuperabile: su ogni indagine, in concreto, va valutato se ci sia necessità di prorogare. Spegnere l’ascolto solo per rispettare un limite astratto, non mi sembra una soluzione avveduta, perché non concilia l’esigenza di dare effettività all’accertamento dei reati con l’esigenza di tutelare i diritti.
Rispetto al ddl Nordio, invece, fra le novità c’è l’interrogatorio preventivo, in stato di libertà, per l’indagato. Cosa ne pensa?
In altri ordinamenti esiste, ma è accompagnato da misure pre-cautelari di fermo: ti restringo la libertà personale in maniera provvisoria per due o tre giorni, dando al tribunale il tempo per decidere. Nel nostro sistema era previsto solo per misure interdittive. Nella nuova formulazione, mi pare singolare che il soggetto da interrogare - su cui pende una richiesta di custodia in carcere - resti a piede libero: si presenta dal giudice, viene interrogato e nei cinque giorni successivi il magistrato deciderà. Laddove non esisteva, il pericolo di fuga si creerà in quel momento. Credo che la misura non reggerà. E non mi stupirei se, al primo caso di interrogatorio preventivo con soggetto che si darà alla fuga, il legislatore decidesse di cambiare le norme. Purtroppo, in materia di giustizia, in questo Paese da decenni si susseguono riforme e controriforme partigiane e di segno opposto, senza una prospettiva perlomeno a medio termine. Ciò, insieme alla carenza di personale amministrativo e di cancelleria, sta rendendo sempre più difficile il compito di noi magistrati. Gran parte del lavoro dei giudici ormai è assorbito dal dover interpretare norme che si susseguono, affermando ora una cosa ora l’altra, per cercare di trovare fra queste una difficile coerenza.
Qualche esempio?
Ancora debbono essere attuate ampie parti della riforma Cartabia, che già l’attuale maggioranza ipotizza di controriformarla. E cosa dire dell’istituto della prescrizione? Oggi ci sono contrasti in Cassazione sulla ricostruzione di un sistema che, negli ultimi 5-6 anni, è stato modificato a ripetizione: prima con la legge Orlando, poi con quella Bonafede, quindi con la Cartabia e ora probabilmente verrà cambiato ancora. Una frenesia normativa che ci impone un lavoro interpretativo enorme. Eppure il legislatore continua imperterrito, disinteressandosi delle ricadute organizzative di una normazione contraddittoria, che intasa il sistema e confonde i cittadini.
Veniamo alla “madre di tutte le riforme”, la separazione fra le carriere di giudice e pm. Voi la criticate severamente. L’opzione di un dialogo col governo è ormai superata?
Per noi no. Parleremo in tutte le sedi possibili, non solo alle forze politiche e soprattutto all’opinione pubblica, perché -trattandosi di legge costituzionale - si potrebbe andare verso il referendum.
Cosa farete fino ad allora? Una mobilitazione permanente?
Ci si accusa di voler bloccare soluzioni normative. Non è vero: la nostra è e sarà una mobilitazione culturale per informare i cittadini sulle ragioni della nostra contrarietà, che non hanno nulla di corporativo, perché alterare il meccanismo disegnato in Costituzione creerà squilibri difficili da rimettere in sesto.
L’ipotesi di uno sciopero delle toghe è esclusa?
Vediamo quale percorso avrà la legge in Parlamento. Ma se alla fine dovesse essere necessario anche un segnale forte, come quello dello sciopero, non ci tireremo indietro.