I moduli abitativi del villaggio a Boncuri, nel territorio di Nardò (Lecce) - .
Dal ghetto al villaggio, dal degrado alla dignità. Accade a Nardò, provincia di Lecce, terra di angurie Igp e di pomodori. Ma fino a pochi anni fa anche di sfruttamento, di baracche. Ora, invece, di efficiente accoglienza, frutto della collaborazione tra istituzioni e Terzo settore. Località Boncuri, fino a 3mila braccianti, ammassati in invivibili baracche o addirittura all’aperto sotto gli alberi. Ora gli alberi ci sono ancora, ma sotto la loro ombra gli immigrati a gruppetti chiacchierano. Alle loro spalle il grande villaggio che può ospitare fino a 320 persone: 80 moduli abitativi da 4 posti, con aria condizionata, mobilio, letti coi materassi, biancheria; 20 con bagni e docce; altri dedicati all’ambulatorio con un medico tutti i giorni, all’assistenza sindacale con Fai Cisl e Flai Cgil e col Cir; un’area di preghiera e una per la riparazione delle biciclette.
Ad accompagnarci è don Giuseppe Venneri, direttore della Caritas della diocesi di Nardò-Gallipoli che gestisce lo sportello di ascolto e orientamento e la mensa. «Abbiamo accettato anche per coinvolgere la comunità». La gestione del villaggio è del Comune con fondi regionali, mentre il gruppo scout del Cngei si occupa degli ingressi e della sorveglianza, punto di riferimento h24. La struttura è destinata agli immigrati stagionali, quelli che restano solo pochi mesi, per la raccolta di cocomeri e pomodori. Aperta da fine giugno a settembre, ospita solo chi è in regola col permesso di soggiorno, ha un contratto di lavoro o è iscritto alle liste di collocamento. Regole chiare per combattere caporali e sfruttamento.
Il villaggio è recintato, si entra solo col badge con foto e generalità, controllato dai giovani scout con un lettore. Rientro al massimo alle 22,30, ma per il resto della giornata si esce e entra quando si vuole. Alcolici vietati all’interno. Regole che i lavoratori accettano senza problemi. «Hanno capito che è un luogo dove essere tutelati e garantiti. Una risposta di dignità». L’esatto contrario del passato. Come ci racconta don Giuseppe, «c’erano due ghetti, uno qui e uno nella ex falegnameria di Arene Serrazze. Luoghi di degrado e illegalità. Tutto era in mano a veri e propri clan: caporalato, trasporti, alloggi nelle baracche, pasti. Dovevano pagare tutto, anche i materassi».
La Diocesi interviene fin dagli anni ‘90, «ma i clan sequestravano i nostri aiuti alimentari». Assieme al Comune si fa un primo esperimento di accoglienza in una ex cantina sociale che va avanti per 4 anni. Ma non basta perché la presenza dei braccianti aumenta, soprattutto con l’esplosione della coltivazione dell’anguria, tra le migliori d’Italia. Così si decide di bonificare l’area di Boncuri e realizzare un villaggio. Prima le tende, poi, nel 2017, i moduli abitativi.
A impegnarsi è soprattutto il dirigente regionale Stefano Fumarulo che purtroppo muore improvvisamente, ad appena 38 anni, pochi mesi prima dell’inaugurazione. In suo ricordo è stato intitolato il piazzale davanti alla struttura, ma resta soprattutto l’idea che avrebbe voluto realizzare anche per gli altri ghetti pugliesi. Che il villaggio funzioni lo si tocca con mano, come ci fa osservare il capo scout Michele Muci. Gli immigrati sono tutti giovani, età media 30 anni. Per la raccolta delle angurie serve prestanza fisica, tutto viene fatto a mano, e una “squadra” raccoglie un campo in mezza giornata. Ora riposano, dopo una doccia vera. Tutto è pulito e ordinato, niente rifiuti, gli stendini carichi di panni fuori dai moduli abitativi, il medico in camice bianco, il grande tendone della mensa.
«Tutti i giorni portiamo la cena - ci dice don Giuseppe -. Con la collaborazione di un nutrizionista realizziamo un menù settimanale nel rispetto delle diverse fedi religiose». Un’attenzione ben gradita. Così come lo sportello informativo. «Si fidano di noi per i problemi personali e familiari». Quest’anno c’è meno lavoro, perché parte della produzione si è persa per gli eventi climatici. «Lo abbiamo capito perché non hanno soldi e ci chiedono prodotti per l’igiene personale». Così li fornisce la Caritas. Ma se il villaggio funziona non mancano problemi al di fuori. Come per il trasporto verso i campi, per il quale i braccianti devono ancora pagare. E nei campi lo sfruttamento non è finito. Ma il villaggio è davvero una bella realtà, purtroppo un caso unico in Puglia e tra i pochi in Italia.