mercoledì 1 dicembre 2021
Per la Fondazione Salus populi romani i casi di azzardo e usura sono in aumento e si intrecciano. Un baratro da cui è davvero difficile uscire
Dai poliziotti ai broker, ecco chi affoga nei debiti ed è vittima dell'usura

Ansa archivio

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Un poliziotto, un giornalista, un broker assicurativo, un padre di 25 anni. Sono alcune delle storie di azzardo e usura, seguite dalla Fondazione Salus populi romani, organismo diocesano collegato alla Caritas della Capitale. Casi in aumento. Da gennaio a novembre 2021, la Fondazione ha ricevuto 245 richieste d’intervento, il 20% collegato all’azzardo. «Persone sormontate dai debiti che chiedono di avere i finanziamenti in base alla legge antiusura 108 – spiega il direttore della Caritas diocesana, Giustino Trincia –. Ma è molto parziale intervenire solo in questa chiave, perché c’è il problema della terapia, è gente malata. Casi già finiti nell’usura o destinati a finirlo perché non sono bancabili».

Inoltre, è il suo allarme, «il lockdown ha incentivato la dipendenza, soprattutto quella da azzar- do online. Viene meno o è ridotta la relazione fisica a vantaggio del canale virtuale e rischia di diventare un dato strutturale». E infatti le drammatiche storie che ci racconta Fabio Vando, coordinatore della Fondazione, riguardano soprattutto l’online.

Come un poliziotto trentenne (non un caso isolato), sposato e con una figlia piccola. «Giocava da anni. Poi la moglie lo ha scoperto e costretto ad andare in un centro di terapia. Era pieno di debiti con le finanziarie e soprattutto con parenti e colleghi, e questo è vietato. Così con la moglie e il parroco è venuto anche da noi. Lo abbiamo aiutato tentando di rafforzare il percorso terapeutico che però poi ha lasciato e ha mollato pure noi. Sarà ricaduto certamente».

Un altro caso è un giornalista di più di 50 anni, con una posizione di tutto rispetto. «Con le scommesse online si è rovinato famiglia, lavoro e vita. Abbiamo tentato di aiutarlo sia dal punto vista terapeutico che della consulenza legale. Abbiamo la quasi certezza che fosse finito nelle mani degli usurai. Ed era preoccupato. Ma era purtroppo irrecuperabile. L’azienda gli avrebbe concesso l’aspettativa per un periodo in comunità. Ma lui ha fatto saltare tutto. In realtà voleva solo fare il minimo col massimo di risultato finanziario. Diceva: 'Vado una volta a settimana da quel terapeuta e voi mi finanziate 20mila euro perché mi servono urgentemente per darli a certe persone'. Gli abbiamo detto di no e lui è sparito, lasciando il lavoro».

Era riuscito a bruciare più di 200mila euro in appena 4 mesi. «Il nostro sospetto è che avesse qualche altra dipendenza. Da sesso». Non l’unico caso. «Un’altra persona ce lo ha proprio detto. Per lui era un unico mercato: dalle prestazioni sessuali ricavava denaro col quale poi giocava. Faceva una specie di gigolò. Ma poi se vinceva al gioco si concedeva le escort».

Un’altra persona guadagnava un sacco di soldi come broker assicurativo, poi si è separato dalla moglie e ha riversato sull’azzardo la sua vita. Ma ha dovuto cambiare lavoro. Si messo a fare il cameriere e tra mance e paga che il proprietario gli versava in nero, tutte le sere usciva con le tasche piene di contanti e imboccava una sala gioco. Giocava in media 2mila euro al mese, soprattutto Vlt. Aveva frequentato una comunità terapeutica dalla quale era poi scappato, perché si sentiva abbastanza sicuro. Invece c’è ricaduto.

«È arrivato da noi attraverso un parroco. Gli avevamo detto che eravamo disposti ad aiutarlo ma a condizione di curarsi. Ma non c’è stato verso. Raccontava tutta una serie di bugie. Con la chiusura del ristorante si è trovato in difficoltà e ha sfiorato l’usura, ma per sua fortuna l’usuraio è stato arrestato».

C’è poi il giovane padre. «Nella sala gioco gli facevano direttamente i prestiti. Ma è illegale. Gli avevamo detto di denunciare, e anche alla madre, ma hanno avuto paura». Casi che «interessano molto alla criminalità. Sono pronti ad offrire liquidità, intrappolandoli. Questo ragazzo aveva un esercizio commerciale e loro lo sapevano. E ci puntavano, perché l’attività economica è una lavatrice. Abbiamo fatto un’offerta ai genitori per provare a consolidare una parte del debito, ma non si sono ripresentati ».

La pandemia ha peggiorato queste storie. «Inizialmente si è giocato di meno perché tutto era chiuso. Ma poi hanno ripreso. E la crisi economica ha aggravato la situazione debitoria perché perdendo il lavoro non riuscivano più a pagare ». E se hanno ripreso il lavoro, tutto va poi a finire nell’azzardo. «Un circuito assolutamente improduttivo».

Mentre i “giocatori” si sono illusi di essere usciti dalla dipendenza. «All’inizio col lockdown c’è stata la remissione dei sintomi. Alcuni dicevano, 'pensavo di stare male senza giocare, invece sto benissimo, quindi sono guarito, adesso aiutatemi finanziariamente'. Non è così. La remissione è una cosa, la guarigione un’altra. Non è come per le sostanze. L’azzardo porta a una dipendenza diversa».

Così la Fondazione sta aprendo una procedura dedicata ai “giocatori”. I colloqui sono completamente diversi, non sono solo sovraindebitati. E la loro capacità manipolativa è molto forte. «Dall’azzardo è difficile uscire. È triste doverlo riconoscere ma davvero è una dura realtà».

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