C’è una striscia bianca che unisce misteri di Stato, affari criminali, carriere nella politica internazionale e strani personaggi con un piede nei servizi segreti e un altro a disposizione del miglior offerente. « Follow the money», tracciare i soldi per trovare la coca. Quattrini facili e condizionamenti geopolitici a buon mercato. Ogni tanto qualcuno muore. Qualche bomba esplode. Una strage, un omicidio mirato, un ministro che salta e altri a prenderne il posto.
La Cia da una parte, l’ex Unione sovietica dall’altra, i terroristi a guerreggiare e la mafia a suo agio nel mezzo. Eccoli i misteri d’Italia, con gli intrallazzatori di professione, i traditori, i mercenari inamidati, i latitanti di stato. Marco Birolini, giornalista di Avvenire e “Premio Cronista dell’anno” nel 2022, ha fatto quello che gli viene naturale: ficcare il naso. Milioni di pagine di documenti sensibili, atti desecretati, sentenze ciclopiche, e soprattutto la caccia ai testimoni che nessuno cercava più. E che lui è riuscito a far parlare.
Eccome. “Stato canaglia. Droga, armi, operazioni clandestine”, edito da Ponte alle Grazie e in uscita domani in tutta Italia ricostruisce «gli affari sporchi dei servizi segreti italiani e stranieri nei traffici di tutto il mondo, con decine di morti misteriose - spiega Birolini - e un enorme giro d’affari». Fin troppe sono le anime nere di questa storia dalle pagine scure. Non cercate folkloristici narcos con il sombrero e mafiosi con la coppola e la lupara. In questa coraggiosa inchiesta si viaggia dall’Italia ai continenti dell’oppio e della coca, dalle guerre per procura a quelle tra clan, affondando lo sguardo nella palude torbida del moderno «grande gioco». Prendete la Dea, l’agenzia antidroga Usa. « Ricordo che quando ero in Colombia avevamo convinto molti contadini ad abbandonare la coltivazione della coca e a sostituirla con un cacao gourmet ad alto profitto. In poco tempo avevamo eradicato il 25% delle piante per la cocaina.
Stava andando bene, insomma. Ma un giorno si presenta nel mio ufficio un diplomatico americano, designato dall’amministrazione Bush». Era preoccupato: «Sandro, mi stai mettendo nei guai» . In che senso? Risponde l’italiano. E lui: «Sai quante persone lavorano qui nel servizio antinarcotici? Sono 180, molti con casa e famiglia. Se tu tagli la coca, io devo tagliare posti di lavoro. Devo rimandarli a casa...». A parlare è Sandro Calvani, tra i primi a dirigere alcuni dipartimenti dell’agenzia anti-droga delle Nazioni Unite. Parecchi fusi orari in qua, si arriva in Sicilia. Dove per anni una delle postazioni di Gladio, la struttura segreta voluta dalla Cia ufficialmente per contrastare un eventuale pericolo di espansione sovietica anche in Italia, in realtà teneva insieme agenti doppi, massoni, esponenti di quell’area grigia che ascoltano lo stato e parlano alla mafia, e viceversa.
Come quegli ex agenti segreti che a Birolini hanno rivelato l’esistenza di una serie di voli che facevano parte di un programma di addestramento del Sismi (la vecchia intelligence militare italiana), che voleva degli ultraleggeri in vista di un loro possibile utilizzo in teatri operativi. Solo che in alcune piste nascoste nelle campagne siciliane, dove i velivoli facevano la spola, arrivavano anche carichi di droga che poi venivano immessi nel circuito del grande spaccio da Cosa nostra siciliana. La droga arrivava con le armi, perché erano le armi la ragione apparente di certi “voli di stato”. Una ipotesi che è emersa anche durante il processo per l’omicidio di Mauro Rostagno, il giornalista sociologo assassinato a colpi di fucile il 26 settembre 1988 a Valderice.
Rostagno si era pericolosamente addentrato tra le ombre. In una provincia, quella di Trapani, che come si è visto con la cattura di Matteo Messina Denaro, vede sedere alla stessa tavola capibastone, massoni, esponenti politici. Uomini di cui conoscevamo i profili in controluce, ma che adesso hanno un nome e un cognome.