Alla domanda secca «quanti soldi l’Italia offre in aiuti umanitari all’Africa?» non c’è risposta. Se ne possono dare tante, tutte parziali.Perché la legge sulla cooperazione allo sviluppo del 1987, la cui riforma è stata approvata ieri al Senato in prima lettura, ha dato vita alla cooperazione decentrata moltiplicando i soggetti erogatori pubblici a livello locale. Neppure l’Anci, l’associazione dei comuni, o l’Oics, osservatorio sulla cooperazione delle regioni, possiedono dati complessivi. Poi c’è la libera iniziativa di ong piccole e grandi, parrocchie, associazioni, conferenze episcopali, imprese, fondazioni bancarie e aziendali. Che la crisi ha toccato parzialmente.Soprattutto nella fascia centrale dal Sahel al Corno, è comunque concentrata almeno la metà dei progetti italiani pubblici e privati. Il presidente della Focsiv, la federazione delle ong cattoliche, Gianfranco Cattai ha censito in Burkina Faso, 15 milioni di abitanti, ben 300 soggetti italiani operanti con progetti. Ha inviato un questionario cui hanno risposto solo in 150. La scuola superiore Sant’Anna ha censito in Toscana circa 1.100 enti attivi nella cooperazione internazionale, con circa 600 progetti in Africa. Manca un coordinamento.L’Italia è presente nell’area subsahariana, (il Maghreb nella geografia umanitaria è omologato al Medio Oriente) con decine di micro e macro progetti sanitari, agricoli e scolastici sempre più mirati alle periferie delle nuove megalopoli e a nuove emregnze come quelle idriche da mutamenti climatici. O di co-sviluppo, coinvolgendo le comunità locali nelle scelte. Molti puntano ad esempio sui territori di origine dei migranti per indirizzare anche in campo sociale ed educativo le rimesse. Anche le 88 fondazioni bancarie sono attive. Le maggiori (Cariplo e Compagnia di San Paolo) hanno da anni progetti impegnativi, mentre l’Acri ha appena avviato un piano per l’agricoltura in Burkina Faso con 30 fondazioni stanziando 4,5 milioni per tre anni. Anche sul versante ecclesiale è impossibile contabilizzare l’attività di gruppi missionari, diocesi e congregazioni. Il Comitato per gli interventi caritativi nel terzo mondo della Cei ha finanziato progetti in Africa per circa 35 milioni nel 2013, mentre la Caritas italiana ha impegnato 2,5 milioni. La Focsiv stanzia ogni anno 42 milioni di euro per l’Africa. E poiché il governo alle ong ha destinato solo 12 milioni, devono acquisire con creatività fondi da enti locali, privati, dall’Ue o da paesi come Giappone e Canada che investono sull’eccellenza italiana in campo umanitario.Cosa fanno i Comuni? La legge consente a un’amministrazione municipale di investire fino allo 0,8% del bilancio. Prendiamo Milano e Roma. Il capoluogo lombardo per il 2014 con la Regione Lombardia e la Fondazione Cariplo ha puntato sui progetti per l’alimentazione «Nutrire il pianeta» in vista di Expo, e dal 2001 ha impegnato in media 400mila euro all’anno in Africa. La capitale nel 2012 aveva stanziato 290 mila euro per 12 progetti africani. Le regioni prima della crisi erano più generose, ma tengono. Il Friuli Venezia Giulia ha speso solo per l’Africa 160 mila euro nel 2013, il Veneto ne ha messi a disposizione 490 mila, la Valle d’Aosta circa 155 mila. La provincia autonoma di Trento ha impegnato mezzo milione. Curioso il caso Piemonte. A fine 2011 la giunta di centrodestra del leghista Roberto Cota ha azzerato la cooperazione internazionale. E quindi lo slogan usato dai leghisti per giustificare i respingimenti dei migranti: «aiutiamoli a casa loro». L’Emilia Romagna ha co-finanziato l’anno scorso per un milione e 250 mila euro 18 progetti. Per il quadriennio 2012-2015 la Toscana ha stanziato circa sei milioni in cooperazione con l’Africa, di cui mezzo milione per la sanità. Infine il governo. Il Belpaese canalizza il 46% del proprio Aiuto pubblico allo sviluppo attraverso Bruxelles, primo donatore globale. Con un miliardo e mezzo annuo siamo il terzo contribuente al bilancio dell’Ue per lo sviluppo e il quarto al Fondo europeo. Il governo ha stanziato per il 2014 circa 28 milioni per la cooperazione bilaterale nell’Africa subsahariana e circa sette per quella multilaterale. Pochi?«La tendenza generale – spiega Mario Giro, sottosegretario agli Esteri – si è invertita e ha iniziato a crescere con il governo Monti, quando Andrea Riccardi divenne ministro della cooperazione e iniziò un piccolo aumento dei fondi destinati al Continente nero». Di più non si può fare, stiamo risalendo dal minimo storico toccato con il governo Berlusconi che aveva tagliato le risorse per la cooperazione dai 4,86 miliardi di dollari del 2008 ai 2,74 del 2012, lo 0,14% del Pil. L’esecutico in carica ha confermato l’impegno di raggiungere lo 0,31% nel 2017. Resta da misurare l’efficacia di aiuti spesso non coordinati, ma almeno - crisi o no - la solidarietà con l’Africa ha tenuto.