Neve sulla spiaggia a Porto Cesareo, nel Salento (Ansa)
Vox populi sosterrebbe che non ci sono più le mezze stagioni. Incendi al nord e gelo al sud tra Natale e la Befana: che altro dire? In realtà, il cambiamento in corso è (anche) questione di percezione. Nel senso che a sentire i meteorologi in queste ore sta tutto – ma proprio tutto – nella norma. «Le irruzioni artiche si scaricano sul sud perché il nord è protetto dalle Alpi e gli incendi invernali nel Settentrione sono frequenti d’inverno» spiega Luigi Mariani, agrometeorologo dell’Università di Milano; della stessa opinione è il meteorologo Francesco Laurenzi: «può sembrare curioso ma non è straordinario che, in un periodo siccitoso, i boschi brucino. Anche d’inverno».
Se ad un’analisi puntuale del fenomeno meteorologico stiamo vivendo un inverno come tanti, osservando l’andamento del clima negli anni si ottiene chiaramente la percezione di un cambiamento estremo come gli eventi che impressionano il pubblico, dalle bombe d’acqua (che per gli scienziati non esistono) ai blizzard di neve che incombono in queste ore sul Mezzogiorno d’Italia.
Lo attesta anche il dossier sull’acqua che Legambiente ha diffuso alla fine del 2018 su www.cittaclima.it. Un rapporto secondo il quale il cambiamento c’è, si sente e lo paghiamo carissimo: dal 2010 ad oggi sono 198 i Comuni italiani colpiti dal maltempo, 340 i fenomeni meteorologici estremi, 109 i casi di danni a infrastrutture da piogge intense, 64 i giorni di black out e 157 le vittime. Senza contare gli oltre 28mila siti culturali esposti al rischio idrogeologico, che richiede investimenti per la messa in sicurezza dei territori superiori a 26 miliardi di euro: questo è il valore dei quasi novemila interventi previsti dal Piano nazionale del 2017.
Un dato inconfutabile ce lo fornisce il termometro: secondo il Cnr, il 2018 è stato l’anno più caldo per l’Italia dal 1800 e il 2017 il secondo anno più caldo di sempre, dopo il 2016, anch’esso segnato da siccità e ondate di calore. Quest’ultime, tra il 2005 e il 2016, in 23 città italiane, hanno causato 23.880 morti. Il rapporto di Legambiente spiega come resistere al riscaldamento globale e cerca di sensibilizzare cittadini e istituzioni a «cambiare il modello di gestione dell’acqua in città», adottando i piani clima. Ci sono già degli esempi virtuosi, non solo all’estero: Bologna e il piccolo Comune sardo di Posada, hanno iniziato a mettere in sicurezza i propri fiumi, restituire spazi alla natura e alla fruizione dei cittadini, creare quartieri vivibili anche quando le temperature crescono e ridurre l’effetto isole di calore.
Dobbiamo prepararci al peggio: i Paesi del Mediterraneo nell’ultimo secolo si sono riscaldati più del resto del mondo – +1,4 gradi contro +1 grado – e nei prossimi anni il riscaldamento sarà più forte del 25% di quello globale, in particolare d’estate; siamo un hot spot, una delle aree più sensibili, per via dell’aumento della temperatura e delle diminuzione delle precipitazioni. Ciò dipende dal fatto che ci troviamo in una zona di transizione fra i regimi di circolazione atmosferica delle medie latitudini e della fascia subtropicale; gioca un ruolo importante anche la presenza di diverse catene montuose e l’esistenza di forti contrasti terra-mare, oltre che la presenza di una popolazione umana densa e in crescita.
Al di là del cambiamento percepito, quindi, esiste un riscaldamento "statistico" che la scienza certifica e che l’esperienza umana "misura" attraverso la siccità: per fermarci al 2018, la carenza di piogge ha comportato un calo dell’8% della produzione totale di cereali nell’Ue rispetto agli ultimi cinque anni e un analogo impatto si registra sul settore lattiero-caseario, nonché delle carni. La tendenza al surriscaldamento, la carenza di piogge e la tendenza alla tropicalizzazione del clima italiano secondo la Coldiretti hanno provocato solo l’anno scorso danni all’agricoltura per 600 milioni di euro e perdite per 48,8 miliardi in vent’anni.
Quello agricolo non è né l’unico né il peggiore danno provocato dal cambiamento climatico. Nel totale disinteresse dei governi mondiali, la World Metereological Organization dell’Onu ha denunciato che in questi ultimi anni i principali gas climalteranti hanno raggiunto nuovi picchi: anidride carbonica, metano e protossido di azoto sono molto al di sopra dei livelli preindustriali, senza alcun segno di un’inversione della tendenza al rialzo. «L’adattamento al clima rappresenta la grande sfida del tempo in cui viviamo – ha detto Edoardo Zanchini, vicepresidente di Legambiente –. Purtroppo dalla Cop24 appena conclusa a Katowice non è uscita quella chiara e forte risposta all’urgenza della crisi climatica che ci si aspettava dai Governi dopo il grido di allarme lanciato con l’ultimo rapporto del Comitato intergovernativo sui cambiamenti climatici (Ipcc). Il nostro Paese ha bisogno di approvare un piano nazionale di adattamento al clima».