Lavoratori italiani in una fabbrica tedesca a sostenere lo sforzo bellico nazista - Foto fornita da Anrp
Una storia nella storia della tragedia della Seconda guerra mondiale: quella degli italiani, uomini e donne, che finirono a lavorare nella Germania nazionalsocialista. Un capitolo poco conosciuto che cambiò rapidamente pagina dopo l’armistizio con gli anglo-americani e l’8 settembre 1943. Da questa data, infatti, l’Italia occupata divenne una delle ultime aree sotto controllo germanico da cui prelevare manodopera. “Per il Terzo Reich l’impiego di manodopera straniera fu uno strumento cruciale per sostenere l’economia bellica – sottolinea Enzo Orlanducci, Presidente dell’Associazione nazionale reduci dalla prigionia, dall’Internamento, dalla Guerra di Liberazione e loro familiari -. Essi furono impiegati in molteplici mansioni la cui funzione primaria era alimentare la produzione d’interesse militare”.
Centinaia di migliaia di lavoratori italiani, infatti, erano già stati inviati in Germania come forza lavoro fin dal 1938, “quando l’Italia monarchicofascista era alleata, in realtà già subalterna, di Hitler. Il reclutamento divenne forzato nei venti mesi di occupazione tedesca del nostro Paese”, spiega lo storico Brunello Mantelli che per l’editrice Mursia ha curato Tante braccia per il Reich!, il primo studio organico sulle dinamiche e sulle modalità del prelievo coatto di lavoratori dall’Italia e del loro utilizzo oltre Brennero nel periodo della Repubblica Sociale Italiana, a cui gli apparati del fascismo di Salò diedero un notevole contributo.
“Quello del lavoro coatto nei campi e nelle officine della Germania di Hitler si inserisce tra i pilastri fondativi della memoria della Repubblica, accanto alla Resistenza, alla deportazione politica, alla deportazione ebraica, all’internamento militare, alla prigionia di guerra” aggiunge Mantelli.
Ma c’è di più: per la sua posizione geografica di ponte tra la penisola e la sfera di potere tedesca il Triveneto (Veneto propriamente detto, Trentino-Sudtirolo, Friuli-Venezia Giulia) giocò un ruolo molto importante. Da Verona ad esempio passavano linee di comunicazione cruciali e vi si insediarono istanze germaniche chiave, civili, militari, di polizia; Trento, Bolzano e Belluno; Trieste, Gorizia, Udine furono sottratte all’amministrazione salodiana ed amministrate direttamente da autorità tedesche.
Diversamente che in altre regioni, nel Triveneto questo aspetto dell’occupazione è rimasto fino a poco tempo fa quasi sconosciuto e comunque solo in parte preso in esame. “E’ importante inquadrare ciò che accade nei venti mesi dell’occupazione, della Resistenza e della Repubblica di Salò perché rappresenta un tassello di un discorso più generale – riflette Mantelli -. In prospettiva occorrerà intrecciare l’esperienza che i lavoratori veneti e venete fecero prima, nel periodo dell’alleanza con la Germania, con quello che invece accade dopo”.
Un tema che sarà affrontato dallo stesso Mantelli a Rovigo il 16 e il 17 ottobre nel corso di un seminario che, nel rispetto delle regole anti-covid, approfondirà aspetti e specificità del lavoro coatto degli italiani in Germania su cui sta lavorando la Fondazione Memoria per il Futuro con l’Anrp, l’Associazione Nazionale Reduci dalla Prigionia e dall’Internamento, nell’ambito di un progetto molto più ampio dal titolo Lavorare per il Reich. “Stiamo mettendo a fuoco la drammatica vicenda di questi nostri connazionali attraverso le fonti d’archivio italiane e tedesche. Un doveroso contributo per non disperderne il patrimonio culturale e umano e colmare una lacuna troppo a lungo protratta – aggiunge Rosina Zucco dell’Anrp che al seminario interverrà sul tema La banca-dati sui lavoratori coatti -. I dati raccolti convergono nel data base www.lavorareperilreich.it, un portale organizzato in modo da poter rintracciare facilmente, rapidamente e selettivamente i dati anagrafici e biografici di migliaia di persone, dare loro un nome e possibilmente anche un volto”.
Lavoratori italiani in Germania - Foto fornita da Anrp
Uno strumento utile anche per il lavoro degli studiosi, giovani ricercatori, storici e cultori di storia con l’obiettivo di non dimenticare e non disperdere le vicende dei lavoratori coatti in Germania tra i carteggi polverosi degli archivi. E’ anche per questo che al seminario di Rovigo verrà presentato e discusso il volume Lavorare per il Reich. Fonti archivistiche per lo studio del prelievo di manodopera per la Germania durante la Repubblica sociale italiana (Roma, Novalogos, 2020) a cura di Giovanna D’Amico, Irene Guerrini e lo stesso Mantelli.
Sulle drammatiche vicende degli italiani che finirono nelle fabbriche del Terzo Reich si è espressa anche la commissione degli storici italo-tedesca, istituita dai due governi nel 2008. Nella Relazione finale ha menzionato in particolar modo questa categoria di vittime. A pagina 103 del testo italiano si legge: “Il contatto con le unità combattenti tedesche non si limitò solo a conflitti risoltisi con tragiche uccisioni: gli abitanti di numerosi paesi degli Appennini emiliani, infatti, furono vittime di rastrellamenti a opera di unità della Wehrmacht, in seguito ai quali vennero trasferiti in campi di raccolta e deportati come manodopera per lavorare al consolidamento del fronte o in Germania. Anche le loro esperienze dolorose sono state dimenticate sia in Italia che in Germania dopo la guerra”; a pagina 119 poi si sottolinea: “La Commissione ha dedicato attenzione anche al destino delle vittime dei massacri della Wehrmacht e delle SS. Esse, infatti, vanno annoverate fra le vittime dimenticate dei crimini nazionalsocialisti tanto quanto gli Internati Militari Italiani e quei civili deportati dall’Italia per essere impiegati ai lavori forzati nei territori all’epoca inclusi nel Reich”.
Uno dei manifesti di propaganda che si trovavano spesso nelle stazioni dei treni per invitare i lavoratori ad andare in Germania - Foto fornita da Anrp
Secondo le stime degli studiosi furono oltre 100.000 le italiane e gli italiani che finirono, nei venti mesi successivi all’8 settembre 1943 oltre confine come lavoratori civili coatti. Considerando la cifra, pressoché uguale, di coloro che erano già in territorio tedesco prima dell’8 settembre e che vi erano rimasti rinchiusi, si trattò a quel punto di un numero consistente di oltre 200.000 persone. A 75 anni dalla fine della guerra resta fondamentale “restituire alle decine di migliaia di donne e di uomini che da questa vicenda furono coinvolti e spesso travolti una biografia, una storia, un volto – conclude Mantelli -. Questo il senso e l’obiettivo della nostra ricerca e del portale biografico, così come il seminario che si tiene in questi giorni a Rovigo”.