Viviana Rech sorride in una foto scattata da suo papà, Franco - Famiglia Rech
La casetta di via Carso ha i fiori sistemati tutt’intorno e il pergolato di legno chiaro. È qui, alle pendici delle Dolomiti, nel cuore della bella Feltre, che da 5mila giorni ogni mattina si ripetono lontano dagli occhi del mondo un numero imprecisato di miracoli. Il primo si chiama Viviana, ha gli occhi azzurri del cielo, il sorriso che riempie la stanza e per i medici che l’hanno salvata e poi provato a curarla è in “stato vegetativo permanente”. Valla a capire, la definizione da libro che ha diviso l’Italia dai tempi di Eluana Englaro in poi, quando Anna apre il frigorifero e mostra lo yogurt: Viviana – ciò che è il secondo miracolo, stando a quel libro – alza la voce, si muove a destra e sinistra sulla sua carrozzina, allunga il braccio cercando di afferrare quello di mamma Anna, di nuovo spalanca le labbra in un sorriso. «Ne va matta da sempre – spiega la donna – e chissà cosa succede nella sua testolina quando intravede il vasetto». È sicura che fatichi persino a metterlo a fuoco (un occhio la figlia l’ha perso, l’altro ha pochissime diottrie), non ha la più pallida idea se sia in grado di percepirne il gusto, eppure tra le cose per cui Viviana si agita e diventa improvvisamente felice c’è lo yogurt. «Le ha anche salvato la vita, visto che è con quello che ha ricominciato ad alimentarsi autonomamente e a deglutire, quando è uscita dal coma» racconta papà Franco.
L’orologio torna indietro al luglio del 2009, «che sono un po’ più di 5mila giorni fa, appunto» spiegano i genitori. La macchina su cui viaggia Viviana – all’epoca ha 27 anni – procede sulla strada a scorrimento veloce del Gargano, vicino a Ischitella. Alla guida c’è Paolo, il suo fidanzato, i due stanno tornando dalle vacanze appena trascorse insieme in Puglia. A un tratto la fine del mondo: una vettura invade la loro corsia, le auto si scontrano in un terribile frontale. Paolo esce dall’abitacolo con le sue gambe, ma per estrarre Viviana dalle lamiere servono ore. La ragazza arriva all’ospedale di San Giovanni Rotondo senza speranze di sopravvivere. «E invece, grazie agli sforzi straordinari e alle competenze del personale di quella struttura – racconta Franco – Viviana alla fine ce l’ha fatta». Per mamma e papà è una gioia grande, ma anche l’inizio della salita, perché i medici parlano chiaro, Viviana non c’è più: non risponde agli stimoli, non si muove, non comunica con l’esterno.
È lo stesso responso che viene ripetuto a Vicenza, poi a Feltre, a Lamon: la giovane viene trasferita di struttura in struttura, si tenta una riabilitazione impossibile, si procede (dietro le insistenze di Anna, visto che i medici sono perplessi) anche al complicato intervento alla colonna vertebrale che oggi le consente di stare dritta, con il busto e con la testa, seduta sulla sua carrozzina. Ma Viviana non torna. «Ricordo ancora la madre della ragazza che era con lei in camera, a Vicenza – racconta Anna –. Ripeteva ai dottori che non sapeva cosa fare con quella figlia spezzata, che non capiva che senso avesse farla vivere così. “Preferivo morisse” diceva la sera, prima di andarsene, e il mio cuore si stringeva perché io invece avevo mia figlia viva come la sua, lì, e perché quel pensiero non mi sfiorava neppure. Non mi ha mai sfiorato».
L’incontro della famiglia Rech col Papa - Famiglia Rech
Il vero miracolo è la sua vita accolta così come si è trasformata e fatta fiorire oltre tanto dolore, oltre ogni ostacolo e sopportando ogni sforzo: le cure e la presenza accanto a lei h24, gli spostamenti, la pulizia maniacale della Peg (Viviana può mangiare, imboccata da Anna, ma dalla bocca non può bere), il rito dello scotch con cui fermare le cuciture dei vestiti per evitare che con i suoi movimenti disordinati possa toccare l’inserzione del tubicino che le entra nello stomaco, quello del frullatore per farle mangiare «tutto quello che mangiamo noi». E poi le carezze, le canzoni, le gite in montagna, i pomeriggi allo stadio di Feltre per le partite di beneficenza che papà Franco organizza con la sua associazione “Amici di Viviana”, il viaggio rocambolesco a Roma per incontrare il Papa con un van trasformato in mini-ambulanza, le visite del cuginetto, che Viviana ha imparato ad amarla nonostante a 4 anni lui non sappia ancora come dirglielo, e lei a 41 – nello “stato vegetativo” che per imparare bisogna venir qui a vedere – non sappia come rispondergli.
Una foto di Viviana prima dell'incidente - Famiglia Rech
Viviana in 14 anni ha fatto miglioramenti che solo i suoi genitori possono raccontare: «Nessuno ci ha mai contattati, le sue condizioni non sono state studiate da grandi scienziati o medici – spiegano –, non siamo nemmeno mai entrati in contatto con altre famiglie, di cui comunque abbiamo letto libri e testimonianze, accorgendoci che ogni storia è unica e diversa dall’altra». Di “stati vegetativi” a casa Rech non si sa molto e non si vuol nemmeno sentire parlare, «perché quella parola l’abbiamo sempre rifiutata, non ci sembra descriva nostra figlia». Il sorriso è la conquista più grande, quello che papà Franco documenta costantemente con la macchina fotografica nelle decine di scatti (ne pubblichiamo uno in questa pagina) in cui Viviana sembra presente, lucida, felicissima: a volte nasce da una voce, spesso dalla musica, «poi scompare come è venuto – racconta Anna –. Abbiamo anche giorni e notti difficilissimi, però, in cui Viviana non dorme ed è agitata. Altri in cui si rabbuia. Noi non sappiamo perché, non lo sapremo mai credo io...». Anna fa la mamma, la zia, l’infermiera, la psicologa e ha il tempo per ricamare cuori di stoffa e pizzi preziosi. Alla figlia parla di continuo, anche quando urla, «e non importa che mi ascolti, o mi capisca. In questi 5mila giorni se ho imparato una cosa è che ad ascoltare e capire devo essere io».