sabato 8 giugno 2024
Le aspirazioni e i timori delle forze politiche visti attraverso le parabole dei capi di partito. Che (in quasi tutti i casi) si sono messi in gioco in prima persona alle elezioni per Bruxelles
La preparazione delle urne

La preparazione delle urne - Ansa

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GIORGIA MELONI
La sfida: da underdog a possibile «queenmaker» dell'Ue

Giorgia Meloni

Giorgia Meloni - Ansa

Fra le doti politiche riconosciute a Giorgia Meloni, spiccano la lungimiranza e la costanza. Fondando Fratelli d’Italia, e presiedendo la famiglia dei Conservatori e Riformisti europei, ha messo a fuoco alcuni obiettivi con anni d’anticipo. Ora, sui cartelloni elettorali per le europee, la presidente del Consiglio ha messo nome e faccia, con una decisione meditata e legata alla strategia politica per i prossimi anni. «Vogliamo fare a Bruxelles quanto abbiamo fatto a Roma» - ha ripetutolei stessa nei comizi elettorali - ossia «costruire un centrodestra» unito «per mandare all’opposizione rossi, verdi e gialli». E un pieno di voti nelle urne potrebbe avverare l’auspicio. Il Ppe spinge infatti sul bis alla presidenza della Commissione per Ursula von der Leyen, ma la futura maggioranza ha contorni incerti. Se le urne dovessero portare molti seggi a Fdi e al gruppo di Ecr, ciò farebbe di Meloni (partita come underdog due anni fa) una queenmaker, per dirla col Financial Times, in grado di favorire il bis di VdL (propensa come lei all’esternalizzazione del controllo delle frontiere) e il sorgere di una maggioranza di centrodestra. In parallelo c’è la partita nazionale: per il governo, il voto europeo sarà un test di middle term. E se Fdi non si discostasse dal 26% del 2022, la premier potrebbe tenere il timone sulla rotta delle riforme, cristallizzando gli equilibri in maggioranza e raffreddando la competizione, latente ma non spenta, col vicepremier leghista Matteo Salvini. ​(Vincenzo R. Spagnolo)

ELLY SCHLEIN​
Tanti chilometri fatti, vuole riportare il Pd «tra la gente»

Elly Schlein

Elly Schlein - Ansa

Se il risultato lo facessero i chilometri macinati negli ultimi mesi, Elly Schlein potrebbe già cantare vittoria. È così che, con lentezza e pazienza, nelle ultime tornate elettorali ha recuperato consensi. Ora, al passaggio cruciale delle europee, Schlein non vuole fissare un obiettivo, perché, dice, «l’asticella porta jella». Gli ultimi sondaggi pubblicati però le hanno dato una certa soddisfazione. Certamente si tratterà di avanzare rispetto al deludente 19,1 delle politiche del 2022, cercando di avvicinarsi il più possibile al 22,7 per cento delle precedenti europee (segretario era Nicola Zingaretti). Per Schlein è un test anche sulla sua segreteria e non è un caso che - certa di poter essere un valore aggiunto - si è candidata capolista nelle circoscrizioni Centro e in quella Isole, lasciando spazio al presidente dem Bonaccini al Nord Est e puntando su outsider per le altre circoscrizioni. La segretaria ha acceso i riflettori su di sé cercando (e riuscendo) a polarizzare lo scontro con la premier Giorgia Meloni, che ha giocato la stessa partita, relegando i rispettivi alleati all’angolo. In questi mesi i capicorrente l’hanno lasciata lavorare, ma ci sono stati dissapori, specie sulle posizioni che riguardano le guerre in Ucraina e a Gaza. Da lunedì bisognerà riaprire la pratica del “campo largo”, che Schlein comunque non ha mai accantonato, anche ingoiando qualche boccone amaro servitole da Conte. Ma su questo la leader dem non ha dubbi, se si vuol battere la destra.​ (Roberta D'Angelo)

ANTONIO TAJANI
La missione è presidiare il centro e distinguersi dagli alleati

Antonio Tajani

Antonio Tajani - Ansa

Una forza affidabile al centro dell’Europa» è lo slogan scelto da Forza Italia per queste europee e già dice tutto: la scommessa del nuovo segretario del partito, anzi del primo in assoluto (Berlusconi era per definizione “il presidente”) eletto dal primo congresso (in 30 anni di storia non ne erano mai stati celebrati) è quella innanzi tutto di distinguersi, agli occhi dell’elettorato del centrodestra, da certe fughe in avanti sulla strada del populismo che caratterizzano i suoi alleati del centrodestra, pescando così in quel bacino moderato che viene considerato, a torto o a ragione, molto ampio. Ma, in secondo luogo, Antonio Tajani sa che deve guardarsi anche dalle insidie che vengono dalla sua immediata sinistra, che poi sarebbe quel centro liberaldemocratico conteso tra Matteo Renzi, Carlo Calenda ed Emma Bonino. La divisione di questi ultimi tre in due liste per le europee è già un bel vantaggio, ma poi i voti bisogna conquistarseli. E bisognerà vedere, per esempio, se la difesa a spada tratta dei balneari dalla messa a gara delle concessioni, come chiesto dall’Ue, possa convincere elettori che fanno della concorrenza un punto di riferimento. L’obiettivo dichiarato (il 10%) non sembra comunque proibitivo. Scendere sotto l’8,2 delle scorse politiche, invece, potrebbe far scricchiolare la leadership di Tajani. (Danilo Paolini)

GIUSEPPE CONTE
Una partita più difensiva sul terreno ostico delle preferenze

Giuseppe Conte

Giuseppe Conte - Fotogramma

l M5s di Giuseppe Conte, sempre più degrillinizzato, si approccia alle urne con un punto di debolezza che è anche la sua forza: le elezioni con le preferenze, dove serve un radicamento territoriale che il Movimento ancora non ha, non premiano abitualmente i pentastellati, forti di un marchio, un “brand”, riconosciuto dagli elettori soprattutto alle Politiche (dove ci sono liste bloccate). Alle Europee 2019, a esempio, in 12 mesi M5s crollò al 17,1% dal 33% delle Politiche 2018. Questo per dire che l’ex premier potrà anche parare i colpi di un esito non troppo lusinghiero. Certo, in ogni caso nella successiva navigazione il “nuovo” M5s non dovrà ripetere gli errori del passato, quelli che a Strasburgo l’hanno visto passare dai 14 eletti a una delegazione di appena 5 unità; ma, soprattutto, non potrà ripetere quell’appoggio (che fu anche decisivo) all’elezione di Ursula Von der Leyen, che poi si è rivelata una delle maggiori paladine della guerra pro-Ucraina, esattamente all’opposto di quella pace che è diventata il vessillo di M5s (sta anche nel simbolo). Attorno a Conte, poi, non si sono visti i bagni di folla del 2022. Per questo, confermarsi attorno al 15% sarebbe già un successo. Da risolvere sarà anche il tema della collocazione (forse coi rosso-bruni tedeschi) di un partito che a Strasburgo si è ritrovato fuori da ogni gruppo, a conferma di un’identità ancora da definire. (Eugenio Fatigante)

MATTEO SALVINI
Il capitano si affida a Vannacci per non farsi sfilare la Lega

Matteo Salvini

Matteo Salvini - Fotogramma

Domani sera Matteo Salvini dovrà guardare bene dentro casa sua e allo stesso tempo perlustrare con attenzione i dintorni. Nella Lega, il risultato del generale Vannacci sarà sostanzialmente considerato il banco di prova per la leadership del segretario. Se il generale incasserà alti consensi, vorrà dire che la presa di Salvini sul partito è ancora alta, sconsigliando scalate interne di cui si parla - a vuoto - da anni. Se invece il candidato scelto dal leader non inciderà sul risultato complessivo del partito, nel percorso del Carroccio potrebbe arrivare una rapida e drastica inversione a U. Allo stesso tempo, Salvini dovrà buttare un occhio nella casa a fianco, quella di Forza Italia: in caso di “sorpasso azzurro”, il leader dovrà prendere atto di uno spostamento al centro della maggioranza nazionale e probabilmente anche rivedere le proprie posizioni rispetto all’Europa, a meno di non volersi chiudere in una nicchia minoritaria in cui il Carroccio certo non lo seguirebbe. Di sicuro il 34,6% del 2019 sarà un lontano ricordo. Così come sarà un lontano ricordo il 23,4% preso al Sud cinque anni fa. E anche il tramonto di fatto del progetto “Lega nazionale” potrebbe essere gravido di conseguenze. (Marco Iasevoli)

CARLO CALENDA
Una squadra “tecnica” per un lancio senza paracadute

Carlo Calenda

Carlo Calenda - Ansa

Forte dell’efficacia dialettica che gli riconoscono anche i più acerrimi avversari, Carlo Calenda ha ripetuto in ogni modo che per Azione-Siamo europei il problema «non è il raggiungimento della soglia del 4%», il minimo per eleggere uno o più eurodeputati. Il traguardo, dice, è «superare il 5%». In questo caso, ma anche soltanto con il 4,1%, eviterebbe di essere additato da Iv e Più Europa come colui che ha danneggiato un’area di rappresentanza politica (quella liberaldemocratica e riformista che non si riconosce nel Pd, ma nemmeno nel centrodestra) che alle politiche di due anni fa ha sfiorato l’8%. Come sono andate poi le cose si sa: Calenda e Renzi hanno divorziato, il progetto del Terzo polo è naufragato e quella rottura è stata decisiva per far sì che Azione non aderisse alla lista Stati Uniti d’Europa promossa da Emma Bonino e in cui invece è entrato Matteo Renzi. Perciò, in queste europee, il leader azionista si lancia senza paracadute, ma anche senza timori perché - assicura - ha presentato un programma solido e candidati preparati. Una squadra per lo più di “tecnici”, guidata da lui come capolista in quattro circoscrizioni su cinque. Se riuscirà a portare qualcuno dei suoi all’Europarlamento, da lunedì sarà un interlocutore obbligato per l’area centrale e, probabilmente, anche per il Pd della «testardamente unitaria» Schlein. (Danilo Paolini)

MATTEO RENZI
Il 40% è un ricordo, la carta-Draghi per strappare il pass

Matteo Renzi

Matteo Renzi - Ansa

La nostalgia non si addice a Matteo Renzi, che non ha perso tempo a trastullarsi con i ricordi di altre Europee, quelle di 10 anni fa che lo videro – ma da leader del Pd – veleggiare a un soffio dal 40%. Un po’ come talune “vecchie glorie”, si è tuffato anima e corpo in un progetto – la lista Stati Uniti d’Europa – che già nel nome porta il programma e che, messo su assieme a radicali, socialisti e altre forze, sembrava nato per accogliere Calenda e si è ritrovato, invece, con dentro Italia Viva. In questo l’ex premier rottamatore ha confermato abilità. Quell’abilità non mostrata – al di là delle cause - nella rottura con Calenda alle porte di un nuovo voto che, qualora avesse confermato dopo due anni l’ormai ex Terzo polo attorno al 7-8%, ne avrebbe fatto un soggetto centrale nella politica italiana. Ora solo il risultato dirà se gli elettori renziani alla fine avranno premiato più questa filosofia europeista o se, piuttosto, si saranno fatti frenare da quella che può sembrare una “accozzaglia” di liste che sapevano di non arrivare al 4%. Un esito di poco superiore a questa soglia sarebbe, di fatto, un mezzo flop. L’occhio cadrà pure sul dato delle preferenze per Renzi, che alla fine ha voluto candidarsi, anche all’ultimo posto, quasi a voler mostrare un’umiltà che nessuno gli riconosce. Anche l’altro segno distintivo – l’indicazione di Draghi alla presidenza della Commissione – può esser letto come il riconoscimento a uno dei pochi europei con una dimensione internazionale; ma anche come una sorta di “talismano della felicità”. (Eugenio Fatigante)

FRATOIANNI/BONELLI
La corsa sul filo basata sulla “coerenza” delle liste

Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni

Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni - Ansa

La somma del consenso incassato nel 2019 da “Europa Verde” e “La Sinistra” fa esattamente il 4%, ovvero il minimo necessario per eleggere deputati al Parlamento Europeo. E la prima sperimentazione su scala nazionale dell’Alleanza Verdi-Sinistra, alle Politiche del 2022, ha confermato sia il numero totale di voti (circa un milione) sia le potenzialità vicine alla soglia di sbarramento europeo. Ma il duo Fratoianni-Bonelli non può dormire sonni tranquilli. La lotta sembra essere proprio sul filo. E un’eventuale delusione potrebbe incidere sul percorso comune, che già trova molti ostacoli sui territori, con i Verdi che vorrebbe riprendere i loro temi originari. Certo la composizione delle liste ha avuto una coerenza che va riconosciuta, con nomi che vanno da Mimmo Lucano a Ilaria Salis che intendono un’idea di società piuttosto definita. Su questa omogeneità scommettono i due leader per vincere la partita più difficile della loro vita politica. (Marco Iasevoli)

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