Adesso basta. La violenza sulle donne ha raggiunto limiti insopportabili. Il dramma non riguarda solo la vittima caduta nella trappola del carnefice ma tutti. Caterina è una mamma quarantenne di Frattamaggiore, ridente cittadina in provincia di Napoli. Ebbe la disgrazia di innamorarsi di Antimo, un giovane che divenne suo marito e che ben presto si rivelò essere violento.
Caterina lavora, porta i soldi a casa, lui no. Caterina mette al mondo tre figli, il primo che ha quasi 11 anni e una coppia di gemellini di 9. Lui riesce a isolarla dai genitori e dalle amiche, coloro che avrebbero potuto consigliarla, aiutarla, aprirle gli occhi. Per cinque anni Caterina non li vede, non li sente, nega a se stessa la gioia di abbracciarli e di essere abbracciata. Lentamente, senza che se ne accorga, diventa ostaggio del marito. Ma non si ribella, sopporta, tace. Ed è quest’atteggiamento, comune a tante donne vittime, il primo, grande problema.
Caterina lavora, accudisce i figli, la casa. Prende bastonate. Sa per esperienza che appena tenta di ribellarsi le cose peggiorano, e allora ingoia. Poi, un bel momento, esplode. A tutto c’è un limite. Un giorno si rende conto che la strada intrapresa è solo un vicolo cieco che la porterà alla morte. Lui diventa sempre più intrattabile. I bambini, terrorizzati, iniziano ad avere problemi. Caterina chiede aiuto alla famiglia, alle amiche, ai suoi stupendi genitori. Denuncia. Finalmente. Una, due, tre volte. Fa ritorno alla casa paterna. Lui la insegue. Non può permettere che la preda gli sfugga.
Non è possibile che la dolce Caterina, sempre buona, silenziosa e sottomessa, lo abbia lasciato. Vengono allertati i servizi sociali, le forze dell’ordine. Ognuno fa la sua parte. Viene intimato all’uomo di non avvicinarsi al nuovo domicilio della moglie. Divieto che non verrà osservato. Le leggi per gente come questa non esistono. Sono essi legge a se stessi; padroni della vita e della morte di chi ha avuto la disgrazia di finire nel loro raggio di azione.
Piove quella mattina, quando, infuriato, raggiunge la casa degli ex suoceri, li ritiene responsabili della decisione presa da sua moglie. Caterina è là, lo vede, si chiude in casa con i suoi. Sono terrorizzati. Lui entra nel cortile con fare minaccioso, si arrampica sulla grondaia. Nascosti dietro ai vetri, i familiari assistono alla scena. La pioggia ha reso la grondaia viscida, lui scivola a terra, si rialza, ritenta, cade di nuovo. Accosta un vecchio tavolo, si arrampica, cade ancora. Infine distrugge la piccola telecamera che, per fortuna, ha ripreso la scena. Grazie a quel filmato di pochi minuti quest’uomo violento finisce in carcere. Ben presto tornerà in libertà. Caterina e i suoi non osano pensare a quel giorno. La trasmissione Chi l’ha visto?, mercoledì sera, porta la storia di Caterina nelle nostre case. Orrore allo stato puro, anche i cuori più cinici e induriti si sciolgono.
Dalla mia parrocchia, la bella Caterina ha raccontato la sua storia. E ha detto chiaramente di temere che l’uomo che le promise eterno amore la ucciderà. Uno scempio che non può accadere, non deve accadere. I bambini hanno bisogno della loro mamma, i genitori della loro figlia, il mondo ha bisogno di questa donna fragile, coraggiosa e bella. Prima che venga rimesso in libertà, vigilata o meno, l’uomo che abbiamo visto arrampicarsi per la grondaia per nuocere alla sua ex donna, la società civile deve tirare fuori il meglio di cui è capace. E permettere a questo nucleo familiare di vivere in un luogo segreto, in modo sereno. Caterina ha diritto alla sua libertà, alla sua dignità, alla sua vita.
Quante donne si trovano in questo momento nelle condizioni di Caterina in Italia? A quante sono stati rubati gli anni più belli della loro vita da maschi stupidi e violenti? Il pensiero corre agli ultimi femminicidi registrati. Alcuni erano stati annunciati da tempo. A riguardo è stato fatto tanto, è vero, ma non basta. Se siamo ancora a questo punto vuol dire che non basta, che bisogna fare di più. Diciamo basta. Inorridiamo. Ribelliamoci. Gridiamo. Gridiamo insieme: «Io sono Caterina».