I partecipanti al campeggio organizzato in Valsavarenche da Casa della Carità, la fondazione milanese voluta nel 2002 dal cardinale Carlo Maria Martini - foto Casa della Carità
Afghanistan, Albania, Bangladesh, Costa d’Avorio, Egitto, Ghana, Kosovo, Libia, Mali, Marocco, Nigeria, Palestina, Pakistan, Perù, Romania, Ucraina, Tunisia, Somalia. E Italia. No, non è l’elenco dei Paesi di provenienza degli atleti partecipanti ad una delle competizioni olimpiche che ci hanno appassionato nelle scorse settimane. Si tratta, invece, dei Paesi d’origine – ben diciannove – dei sessanta partecipanti al campeggio organizzato in Valle d’Aosta da Casa della Carità per i propri ospiti. Per la fondazione voluta nel 2002 dal cardinale Carlo Maria Martini, organizzare un tempo di vacanza con gli ospiti rappresenta una tradizione consolidata. Ma soprattutto «è un’occasione di grazia», scandisce Fiorenzo De Molli, l’operatore di Casa della Carità che ha coordinato il campeggio assieme a padre Alessandro Maraschi del Pime. Ed è un’esperienza che, con semplicità, «lancia un messaggio alla città», sottolinea don Paolo Selmi, presidente di Casa della Carità. Quale? Prima i dati di cronaca.
«Una sessantina i partecipanti, tutti ospiti in via Brambilla o in altre sedi e servizi di Casa della Carità, più una decina di operatori – fa il punto De Molli –. Diversi per provenienza, lingua, religione, età. Sedici i minorenni. Il più piccolo: un bimbo nato nel febbraio 2022. Il più “maturo”: don Pier Francesco Fumagalli, dottore emerito dell’Ambrosiana, nato nel 1948. C’erano mamme con bambini provenienti da teatri di guerra come Ucraina e Palestina. C’erano i minori stranieri non accompagnati della nostra Casa Francesco. Da una decina d’anni organizziamo questa vacanza in collaborazione con Caunpa (Campeggio unità pastorale) delle parrocchie San Domenico e San Magno di Legnano, che quest’anno hanno allestito il loro campeggio a Bien, nella Valsavarenche».
Ebbene: «sono stati giorni di gioia, svago, condivisione, sono stati giorni di grazia – riprende De Molli –. Anzitutto: operatori e ospiti hanno condiviso attività e servizi, come il preparare la tavola insieme, senza restare ingabbiati in ruoli distinti – chi assiste, chi è assistito. Abbiamo visto gli adolescenti stranieri – quelli che la burocrazia chiama “minori stranieri non accompagnati” – affezionarsi ai bambini più piccoli, tenerli in braccio, giocare con loro. Abbiamo visto due persone che non s’erano mai viste in vita loro – un italiano, che vive in un appartamento gestito da noi, e un cristiano pakistano rifugiato in Italia – sedersi fianco a fianco sul pullman e condividere la tenda come fossero amici da sempre. Abbiamo fatto belle passeggiate, commisurate sulle capacità di ciascuno. Dalla carne halal al cibo per i vegetariani, abbiamo cercato di avere attenzione alle necessità di tutti. Ecco: i nostri ospiti, forse “contagiati” dallo stile di Casa della Carità, hanno saputo vivere nell’accoglienza reciproca e nella fraternità. E poter godere della bellezza del creato e delle relazioni umane, è stata una grazia per tutti. Che ti rigenera. E di rigenerazione ha bisogno anche, o ancor più, chi vive condizioni di difficoltà e fragilità. E mi è venuto in mente Isaia 25,6: Preparerà il Signore degli eserciti / per tutti i popoli, su questo monte, / un banchetto di grasse vivande, / un banchetto di vini eccellenti...».
I campeggiatori hanno portato a Milano l’aria del Gran Paradiso respirata a fine luglio in Valsavarenche. «I ragazzi di Casa Francesco, rientrati dal campeggio, ci hanno chiesto di poter rivedere i bambini conosciuti a Bien, ai quali si erano affezionati. Così abbiamo organizzato una merenda insieme», racconta padre Maraschi. Scrivi: minori stranieri non accompagnati. E in tanti si accende la lampadina sulle parole “bisogno” e “problema”. Se non peggio. Invece: «messi nella condizione giusta, si rivelano persone capaci di generosità, accoglienza, bellezza». Tutto questo non s’improvvisa. «C’è un lavoro di preparazione, c’è una condivisione costruita nel tempo, che coinvolge operatori, volontari, ospiti – sottolinea padre Maraschi –. Queste esperienze vanno preparate concretamente. E vanno sognate, prima. Quel che raccogli, poi, è sovrabbondante. E vale anche per la città: le cose vanno preparate e sognate, perché si possano attivare dinamiche di generosità».
«Questa è la sfida di Casa della Carità – incalza don Selmi –: imparare a vivere insieme – nella stessa Casa, nella stessa città – scoprendo e apprezzando la ricchezza dell’altro. Com’è accaduto col nostro campeggio, come accade con le iniziative estive di tanti oratori». Don Selmi cita il discorso del cardinal Martini del 28 giugno 2002 al Consiglio comunale: «Milano non può, nel nome dell’identità, perdere la sua vocazione all’apertura, perché proprio questa è iscritta nella sua identità, cioè la capacità di integrare il nuovo e il diverso». «Martini – riprende don Selmi – pensava a Casa della Carità come ad un osservatorio, un luogo da cui guardare Milano, uno strumento con cui misurare la città nella sua capacità di essere a grandezza d’uomo». Una vocazione da portare anche in campeggio. Per fare dell’estate un incontro di popoli che costruisce e rinnova la città.