Il sindaco di Firenze Dario Nardella - Imagoeconomica
«Qualche giorno fa mi ha scritto una ragazza di Benevento che ha vinto il concorso al Comune di Firenze ma ha dovuto rifiutare il posto di lavoro. Trasferirsi qui era il suo sogno ma lo stipendio non le permetteva di prendere in affitto una casa in cui vivere». Dario Nardella risponde dal suo ufficio di Palazzo Vecchio, nel cuore di uno dei centri storici più belli e visitati al mondo. Qui il turismo è una tradizione antica, ma non con i numeri attuali. «Questo è un anno record, è scomparsa la bassa stagione, c’era il pienone pure a febbraio», racconta con un pizzico di soddisfazione e parecchia preoccupazione il sindaco dem, al timone del Comune dal 2014 e ora al secondo mandato: se la grande invasione del turismo di massa non sarà governata, le città italiane rischiano di esserne definitivamente sconvolte, è il suo messaggio: « Al governo dico: date a noi sindaci la possibilità di intervenire su questo fenomeno o dei nostri centri storici resterà solo l’involucro. A chi si definisce conservatore dovrebbe interessare la tutela delle nostre identità».
Un record di turisti e non è contento, sindaco Nardella?
Il turismo qui dà lavoro a 25mila famiglie. È una grande opportunità, ma produce anche costi altissimi, basti pensare che con questi numeri la pulizia del centro storico la dobbiamo effettuare 4 volte al giorno. E determina conseguenze pericolose. La prima è sul settore immobiliare. A Firenze il prezzo medio delle case è arrivato a 4.500 euro e non si trovano più affitti stabili se non a prezzi impossibili per i più. Questo rischia di espellere dalla città tutta una serie di soggettività come le giovani coppie e i lavoratori fuori sede e di rendere più difficile per le imprese attrarre nuove risorse. L’altro effetto negativo è lo snaturamento e la perdita di identità della città storica. La diminuzione dei residenti non è un fenomeno nuovo ma ora c’è un’accelerazione pericolosa che ne sta trasfigurando il tessuto sociale, commerciale e culturale. Nel 2016 abbiamo fermato l’apertura di Mc Donald al Duomo e siamo riusciti a mettere un tetto ai nuovi ristoranti. Ma non basta.
Ora la sua battaglia è contro gli affitti brevi. Quanti sono a Firenze?
Secondo i dati ufficiali, 7.500 appartamenti con più camere nel centro e altri 3.000 nel resto della città. Ma c’è anche un’area di sommerso e stiamo lavorando con la Finanza per scovare i furbetti. Ad esempio, ho sentito di appartamenti affittati a studenti e destinati poi ai turisti. Due anni fa ho proposto una legge di iniziativa popolare per la tutela dei centri storici ma è finita la legislatura senza che la cosa avesse esito. Non si può aspettare ancora, perché anno dopo anno questo fenomeno si radica e si radicalizza. Così a fronte dell’inerzia del governo a Firenze ci siamo mossi da soli usando il piano urbanistico e contando sul fatto che il centro città è patrimonio Unesco, quindi sottoposto a tutele speciali. In tutta questa area introduciamo il divieto di apertura di nuovi affitti brevi, perché la norma non può essere retroattiva. La giunta comunale ha già deliberato, con il voto del Consiglio la misura sarà effettiva.
Le case vacanza sono un pericolo?
Il fenomeno che ci preoccupa non riguarda la famiglia che affitta l’appartamento della nonna che non c’è più per arrotondare lo stipendio. Ormai siamo di fronte a vere e proprie aziende che acquistano interi condomini, di fatto degli alberghi non sottoposti al regime fiscale e alle regole degli alberghi. Il limite dei 4 appartamenti affittati senza attività di impresa è già troppo alto e viene spesso aggirato con espedienti vari. Quando il fenomeno diventa così strutturato impatta sulla sicurezza, la raccolta differenziata, il commercio, le relazioni sociali, la vita dei residenti.
La convincono le proposte avanzate del governo?
Diamo atto positivamente alla ministra Santanché di avere allargato il tavolo di confronto ai sindaci. Ma nel merito delle proposte non ci siamo. Come l’idea di introdurre un minimo di 2 notti per gli affitti brevi: a Firenze l’impatto sarebbe marginale perché la permanenza media è 3 notti. Più che un limite minimo di notti è meglio un tetto massimo di locazioni l’anno, come già accade in alcune città europee. Ma la misura più efficace è ridurre a non più di due gli appartamenti che un singolo soggetto può adibire a casa vacanza senza che questo venga considerato attività professionale. Quando le case affittate sono 3, 4 o più non siamo più di fonte a un’esigenza di welfare familiare ma a forme economiche di rendita passiva. E noi vogliamo favorire i posti di lavoro, non la rendita. Un albergo di 20 camere assume lavoratori. Un soggetto che mette sul web 20 appartamenti in affitto gioca tutto sulla rendita e fa concorrenza sleale. Bisogna usare la leva fiscale e aiutare le imprese che portano lavoro e innovazione.
Blocco dei b&b: una norma ardita l’ha definita lei stesso…
Sì, ma crediamo di poterla difendere sul piano giuridico. E mi chiedo perché chi si definisce conservatore non sia sensibile a questi temi. La mia battaglia per difendere i centri storici, evitare che i fast food soppiantino le osterie e i venditori di souvenir prodotti in Asia spazzino via gli artigiani, è una battaglia anche di identità. Se lasciano trasformare le città in supermercati turistici senza residenti e attività storiche, dei nostri centri resteranno solo gli involucri. Il rischio riguarda anche realtà più piccole e tanti sindaci, da Assisi ad Amalfi, mi hanno chiamato per appoggiarmi. Noi sindaci conosciamo bene le nostre realtà, il governo ci dia più strumenti per gestire un turismo oggi senza regole.