giovedì 8 agosto 2024
Uno dei fondatori della Cooperativa sociale Giotto di Padova, che da oltre 30 anni da lavoro ai detenuti, interviene sulla grave situazione dei penitenziari italiani
Detenuti del carcere Due Palazzi di Padova al lavoro nell'officina per biciclette

Detenuti del carcere Due Palazzi di Padova al lavoro nell'officina per biciclette - Boato

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Scusate, ma non me la sento di parlare del decreto carceri nel suo complesso, anche perché vorrebbe dire praticamente parlare del nulla, se non addirittura del peggio, almeno in alcune parti. Una sola cosa spero possa trovare una sua giusta e rapida soluzione che è la previsione delle comunità, cosa tra l’altro non nuova in sé.

Per chi conosce questo mondo, è a dir poco evidente che il decreto è stato pensato e scritto da chi di carcere non sa niente e da chi ha qualche interesse da giocare, anche il non cambiare niente può esprimere degli interessi.

A queste persone chiedo di avere il coraggio di fare l’esperienza vera (e non una gita di qualche ora) di trascorrere il mese di agosto in una “camera di pernottamento” (cella) da 2 dei nostri resort penitenziari.

Non dico in una camera di pernottamento da 16, anche perché chiedere un mese sarebbe troppo. Una maggior conoscenza, unita alla consapevolezza che il carcere non aiuta minimamente a diventare migliori, farebbe capire perché siamo in molti a ripetere che oggi "in carcere meno si entra e prima si esce” meglio è, perché aiuterebbe la persona a non diventare peggiore e a non andare ad ingrossare la pattumiera dei recidivi. Capite quanto grave sia che ad alimentare la delinquenza, a rendere più brutte e cattive le persone, sia lo Stato stesso, quello stesso Stato che invece dovrebbe prendersene cura. È una evidenza palpabile e visibile anche ad un cieco il fatto che il carcere invece di guarire fa ammalare e che se vi entri con un raffreddore ti fa uscire con la broncopolmonite (meglio rimanere raffreddati).

Chi agisce senza aver capito questa cosa produce tanto male e tanta sofferenza a tutti non solo alle persone detenute.

Il carcere è diventato “una cloaca che non spurga”: pensate che oggi, pur rimanendo cloaca, c’è chi chiede semplicemente di spurgarla! Incredibile, ma andiamo avanti: “un carcere quando è così abbandonato diventa un lager”. Sono parole che ho preso in prestito da un dirigente dell’amministrazione penitenziaria (speriamo faccia carriera).

Questa espressione si aggiunge a tante altre, in particolare a quella che ultimamente ritorna più spesso e che uso anch’io: cioè che “il carcere oggi è diventato una discarica indifferenziata". Perfino i rifiuti li differenziamo per recuperare il più possibile da essi ciò che si può riciclare, riducendo al massimo gli scarti, cercando di buttarli via il meno possibile (non si fa altro che parlare di economia circolare e generativa, di criteri ambientali e sociali, di governance: ESGR). In carcere ahimè c’è una unica e grande pattumiera che è quella del secco, che normalmente va a finire nell’inceneritore, un po’ come avveniva nei campi di concentramento.

LE RESPONSABILITA' DEI POLITICI

Era così anche prima di questo governo?

Certo che sì, è da decenni che le carceri sono abbandonate a sé stesse (dalla politica e da chi è messo a governarle), tranne quando sono utili a portare avanti alcuni interessi. Ad esempio, alla politica (sarebbe più corretto dire ai politicanti) servono per crearsi consenso parlando alle pance della gente (qualcuno in queste settimane ha definito la necessità di punire una “dipendenza”: ricordiamoci però che dalle dipendenze bisogna curarsi. Se le carceri non sono ancora esplose del tutto dobbiamo ringraziare un manipolo di persone per bene, preparate e dedite al compito loro affidato: questo in ogni settore dell’amministrazione penitenziaria, della magistratura di sorveglianza, della sanità, dell’istruzione e dell’università, degli organi di controllo e permettetemi da ultimo, ma di fondamentale importanza, grazie alla grande muraglia del terzo settore cui, anziché togliere gli ostacoli per meglio operare, viene invece resa difficile la vita (povero art. 3 della Costituzione).

Servire lo scopo cui le carceri sarebbero vocate è rimasto residuale, nella sostanza oggi non ha alcuna priorità. Ricordo il titolo di un libro proprio sul carcere e la pena uscito alcuni anni fa scritto da un giornalista e da un magistrato di grande spessore professionale e umano: “Vendetta pubblica”. Ma significativa risulta essere anche la più recente nota del vescovo di Trieste Enrico Trevisi il giorno dopo la rivolta scoppiata al carcere a Trieste: "Le persone sono in carcere perché non hanno rispettato la legge, ed ecco che è un controsenso se poi lo Stato non rispetta le Leggi che regolamentano il carcere e i carcerati. Ora occorre agire". "La situazione dei carcerati in Italia è impressionante, occorre invertire la tendenza di aumentare i reati a cui corrispondono pene detentive per inventare altre modalità di pene, che meglio corrispondono a quanto previsto anche dalla nostra Costituzione”. O come non ricordare il lavoro preciso, qualificato, puntuale e super partes, svolto ahimè fino a poco fa, dal Garante Nazionale Mauro Palma.

Non è un problema di destra o di sinistra, è da almeno 34 anni che opero in questo mondo e tutti più o meno, fatta eccezione per poche persone, se ne sono serviti. Alcuni per la propria carriera, altri per interessi di parte e altri purtroppo non sono proprio adeguati. Nei decenni precedenti a questo governo si sarebbero potute fare tantissime cose che non si sono fatte o si sono fatte in maniera tiepida. Non si ha avuto il coraggio di farle fatte bene e inoltre le persone che venivano coinvolte in ruoli importanti e decisivi quasi sempre erano semplicemente fuori posto (esattamente come oggi), creando in alcuni casi gravi danni al sistema, penso ad esempio al tema del lavoro. Ognuno deve “fare, fare bene e saper far fare bene” quello in cui è preparato e ancora non basta perché questo è un ambito in cui serve fortemente crederci ed avere una grandissima motivazione: un grande amore per quello che si fa. Amare sé, amare gli altri e amare il proprio lavoro.

In tutti questi decenni (secoli) tutto sembra cambiare, ma in realtà in carcere nulla cambia a livello del riconoscimento della dignità della persona, tanto detenuta quanto operatore penitenziario (è di questi giorni il settimo suicidio di un agente della polizia penitenziaria).

Ma oggi una piccola differenza c’è tra tutti quelli che hanno governato e gestito le carceri in questo trentennio ed il governo attuale: prima, pur nel disastro più totale, ogni tanto un po’ di acqua quando la casa bruciava veniva buttata, oggi sul fuoco si sta buttando in maniera irresponsabile e colpevole solo benzina.

Hai trovato una situazione fallimentare? Parti da lì, salva il buono e inizia a cambiare piano piano tutto il negativo. Piano piano, consapevoli che, se si partisse oggi con cambiamenti coerenti con lo scopo (dettato costituzionale), ci vorrebbero 30/50 anni. Non può essere che il perseguimento di un bene sia così totalmente diverso schieramento da schieramento, salvo che ad essere perseguiti, anziché il bene delle persone e della società, siano invece interessi e convenienze di parte in base alla “banda” cui appartieni.

C’è un punto importante di cui nessuno vuole parlare e che riguarda “la GOVERNANCE”. Il che equivale a mettere in discussione tutto il sistema per trovare una soluzione più adeguata e rispettosa della mission. Per essere chiari: non ci si può non porre una domanda se oggi la cosa più corretta sia che si continui ad affidare la gestione delle carceri al Ministero della Giustizia, o solo al Ministero della Giustizia. Questi decenni hanno dimostrato che ha fallito. Come pure che il sistema DAP ha miseramente fallito, come pure non possiamo non porci la domanda se sia o no adeguato affidare ai magistrati la gestione delle carceri. Porsi delle domande e non scaricare sugli altri, in modo particolare quando le cose non funzionano o addirittura si rivelano un fallimento, è segno di sanità mentale.

SERVE UNA SVOLTA

È il continuo porsi delle domande che alimenta la ricerca continua di soluzioni e di soluzioni nuove, modalità capaci di tirarti fuori dalla "malattia della autoreferenzialità". Se non è questa la modalità ad essere messa in pratica, succede quello che spesso ricorda papa Francesco: "L’isolamento è pericoloso. Bisogna fare molta attenzione a preservarsi dalla malattia dell’autoreferenzialità ... “Siete ben consapevoli di trovarvi tutti sulla stessa barca” ... "sorella acqua, che è utile, umile, preziosa e casta quando è acqua corrente, ma che, se ristagna, imputridisce e puzza".

L’esecuzione penale è altra cosa dal processo penale, dall’accertamento della verità e della colpa (anche se in questo ambito ci sarebbe bisogno di un approccio e di una testimonianza di spessore come fu quella del giudice Rosario Livatino): nel percorso dell’esecuzione penale le uniche figure del mondo della giustizia che hanno un senso sono i magistrati di sorveglianza, a patto che siano preparati ma soprattutto che amino questo lavoro (e fortunatamente ce ne sono) e che abbiano la consapevolezza che la vita di altri uomini e donne (famigliari compresi, spesso vittime innocenti) sono nelle loro mani.

Tutti o quasi tutti, e qui metto anche quelli che cercano di cambiare in meglio il sistema carcere, tutti rimaniamo concentrati su tutte le conseguenze, sui singoli problemi, che per il mondo del carcere sono infiniti. Ci concentriamo di fatto su singole problematiche, in un approccio verticale cosiddetto a silos, che nulla ha a che vedere con la natura del problema che oggi stiamo vivendo. Invece, occorre prioritariamente concentrarsi sulle cause di una gestione fallimentare che va, ripeto, sotto il nome di Governance.

LA RESPONSABILITA' DI CIASCUN CITTADINO

Non si può dire ed essere tutti d’accordo che il sistema è malato, che ha fallito ed il minuto dopo girarsi dall’altra parte e fare finta di niente.

Se da un ospedale nove pazienti su dieci escono morti, se in una scuola nove studenti su dieci vengono bocciati, se ogni dieci ponti o case costruite nove crollano, non sarà mica colpa dei malati, degli studenti, delle case e dei ponti?

Nel calcio vale il detto “squadra che vince non si cambia”: non credo che per la giustizia valga quello contrario “squadra che perde si valorizza”. Se non si interviene a questo livello il male che verrà fatto alla società in termini di sicurezza sociale (educazione, rispetto, crescita del bene comune, etc,) e di costo economico sarà devastante. Ciò che da tempo è avvenuto nel resto del mondo a questo livello, cioè in negativo, sembra non aver insegnato niente e, sia chiaro, non mi sto riferendo a concezioni diverse di carcere ma a dati statistici della realtà: è un problema di ragione, di un utilizzo corretto della ragione, perché se uno prima di me ha già abbondantemente sperimentato una cosa di cui si vedono i risultati (come numeri, come diversità di territori e nel tempo), non usare e fare tesoro di questi risultati è proprio diabolico.

Ora parlare di formazione e lavoro (vedi gli slogan: "tutti devono lavorare così si abbatte del tutto la recidiva"), come pure di trattamento più in generale, senza partire dall’affrontare le cause e perciò leggere correttamente il contesto in cui versano le carceri e ciò di cui c’è veramente bisogno, equivale a parlare tanto per parlare o ad andare avanti a slogan ormai vecchi e consumati. Dico questo perché non è che mi voglio sottrarre dall’affrontare questi temi, ma perché sono consapevole che serve parlarne con conoscenza e competenza. Solo dopo che è stato affrontato il tema della causa delle cause e cioè della GOVERNANCE sarà più facile affrontare i singoli problemi. Per riuscire ad affrontare veramente e non per finta il problema della governance occorre una svolta epocale che si può fare a partire dalle piccole cose che ciascuno di noi può fare e deve fare, non è più il momento delle procedure, dei protocolli, delle circolari (per carità facciamole più giuste possibili e coerenti con lo scopo), ma oggi è più che mai necessario prioritariamente che a cambiare siano le persone, il cuore di ciascuno di noi, solo così poi si sarà in grado di cambiare e correggere veramente il sistema. A questo proposito mi viene alla mente un pensiero di una grande donna, Etty Hillesum “Non credo più che si possa migliorare qualcosa nel mondo esterno senza avere prima fatto la nostra parte dentro di noi".

Non si lavora per star male, per ammalarsi, fino ad uccidersi e per farsi la guerra: si lavora e si fatica per star bene ed essere felici, se non è così rimane solo l’inferno.

Sia chiaro che quello che dico si riferisce a quello di cui ho conoscenza ed esperienza e cioè la vita in carcere, non mi permetterei mai di dire cose così precise e a tratti dure se non ne avessi contezza. Non faccio parte della schiera dei tuttologi o di chi in carcere va a fare le gite cercando di farsi un po’ di pubblicità. Il mio giudizio non è su tutto né tantomeno a favore o contro la destra o la sinistra e, siccome la responsabilità è personale, ognuno risponderà delle proprie azioni e scelte tanto alla storia che a Dio.

Dobbiamo concepire le nostre scelte, tutte le scelte sempre perfettibili e non assolute, nessuno ha la verità in tasca, l’unica cosa certa è che ci si salva assieme. Le cose nel tempo possono cambiare al cambiare di tantissimi fattori. Sono convinto che nella vita tutto è un tentativo, ripeto perfettibile, e che per stare assieme e per essere amici non è necessario pensarla su tutte le cose sempre allo stesso modo, anche perché sarebbe impossibile e disumano.

Da ultimo faccio un appello ad alcuni amici o persone che conosco che sono impegnati in politica praticamente in quasi tutti i partiti o con ruoli dirigenziali importanti: non rinunciate per la carriera alle vostre idee, ai vostri valori, agli ideali (dai quali se non oggi almeno da giovani eravate mossi) cioè alla vostra dignità e tantomeno non cadete mai nell’errore di pensare di salvare il mondo. Quando si entra in politica o si arriva a determinati incarichi la prima cosa di cui preoccuparsi è di non perdere sé stessi e la propria dignità.

Torna alla mente una frase del vangelo più attuale che mai che vale tanto per chi crede e chi no: “Che giova all'uomo guadagnare il mondo intero, se poi si perde o rovina sé stesso?”.

Più persone con questa statura, a prescindere dalla loro appartenenza politica, sono la vera possibilità di creare un mondo dove poter cercare di vivere con meno problemi e con un po’ di più di serenità.

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