Camerino dopo il terremoto (a sinistra) e oggi. La città attende che il suo cuore storico riprenda a battere
Appare quasi d’improvviso dopo una galleria, e fa meraviglia, sul cocuzzolo di un colle imponente e signorile allo stesso tempo. A vederla da lontano, dalla nuova superstrada, sembra quasi che a Camerino il terremoto non sia passato. A tradire questa prima impressione però è soprattutto la notte, quando le sparute luci della periferia lasciano spazio ad un buco nero al centro, in cima alla collina. Ed è proprio il suo cuore cittadino, dove il cotto si alterna alle tinte ocra e arancio dell’intonaco e alla pietra dei palazzi storici, che tutta la devastazione della città si palesa ancora agli occhi, due anni e mezzo abbondanti dopo il sisma.
Ogni angolo della zona rossa è presidiato e interdetto agli abitanti per il rischio di crolli in quei palazzi non puntellati. L’unico rumore che interrompe il silenzio spettrale delle vie storiche in questi giorni è quello degli operai, intenti nei preparativi della visita del Papa in piazza Cavour dove domani celebrerà la messa. Alle sue spalle Francesco troverà il palazzo Ducale, la sede storica dell’università, inagibile, e di fronte il duomo, ricostruito dopo il sisma del 1799, che ora ha finestre e campanili imbragati, sorretti dai tiranti d’acciaio così come il vicino vescovado.
Questa piazza domani prenderà di nuovo vita per un giorno. «A tutti a Camerino manca la quotidianità e il rumore di queste strade». Don Marco Gentilucci è parroco della chiesa di San Venanzio, patrono della città, che si trova proprio poco distante da qui. Mentre gestisce gli ultimi dettagli per il palco, la stanchezza ad un tratto lascia spazio alla speranza. «Riusciremo a riaprire la basilica di San Venanzio a Natale – dice – grazie a 2 milioni di euro donati da un benefattore di Cremona».
Una notizia che rinfranca l’anima di fronte a tanta desolazione. Salire per la centralissima via Vittorio Emanuele II è tutto un susseguirsi di negozi e attività abbandonate – e solo in parte svuotate – balconi ormai posseduti dai piccioni e qualche persiana lasciata aperta che sbatte al primo alito di vento. Tutto sembra essersi fermato a ottobre 2016, compresi i cartelloni degli spettacoli del teatro comunale. Solo l’erba che cresce copiosa ai lati delle strade secondarie ricorda lo scorrere del tempo, come pure quello scorcio di primavera che qualcuno ha voluto portare in pieno deserto, piantando dei fiori sui balconi delle case inagibili a ridosso del limite invalicabile della città.
Come resistano con il gran caldo non si sa, ma è un’immagine che stride con la fontana ormai chiusa di Piazza Garibaldi e con le tante ordinanze di inagibilità appese ai portoni avvolte nel nastro adesivo blu. È ormai sbiadito, invece, l’azzurro del nastro di una nascita che ancora pende al civico 50 di Corso Vittorio e praticamente non è rimasto nulla neppure della bandiera italiana sul palazzo del municipio. Qui, nel centro storico, dove i due terzi dei palazzi ha bisogno di essere messo in sicurezza e i lavori avviati – secondo i dati del Comune – sono pari a zero, si è ancora alla fase di valutazione del danno. Sui 6.617 sopralluoghi effettuati ad oggi in immobili inagibili, in 80 hanno scelto la delocalizzazione (sono soprattutto attività commerciali) e appena 191 proprietari di casa (per lo più in periferia) hanno iniziato la fase di ricostruzione. In tutto il territorio comunale, poi, sono poco più di 500 le pratiche consegnate, ma i tempi dell’istruttoria oscillano tra 6 e 8 mesi.
«Il Papa spero sproni le coscienze di chi ci governa e di tutti noi, perché ognuno si prenda le proprie responsabilità», dice Angelo Goretti del comitato cittadino "Le Pale", nato dopo il sisma, che vede come via per la rinascita una zona economica speciale (Zes) al posto della zona franca urbana attuale. «Supererebbe i paletti imposti dall’Ue e la lentezza della ricostruzione», spiega mentre all’ombra di via Emilio Betti guarda in sù il grande crocifisso che appare appena da dietro il muro di legno che delimita la chiesa di San Venanzietto. «Qui, dopo il terremoto, abbiamo riscoperto la bellezza dello stare insieme», racconta Angelo, ma ora serve uno sforzo in più: «Avviare una ricostruzione creativa e solidale». Per ora poco di questo si vede a Camerino, ma quei cuori rossi che resistono esposti nei negozi inagibili del centro storico dimostrano che la voglia di reagire c’è. E quella scritta a pennarello aggiunta da Chiara sulla vetrina del suo negozio di peluche – «Solo un anno di attività...ma ancora non mollo» – è la prova che tra queste vie in molti ci hanno lasciato il cuore. E vogliono tornare.