martedì 24 settembre 2024
La decisione dell'Uefa per la mancanza di garanzie: il Comune non può assicurare che nel 2027, quando sarebbe in programma la gara, San Siro non sia interessato da lavori di ristrutturazione
Lo stadio di San Siro

Lo stadio di San Siro - Ansa

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Ennesimo euroflop all’Italiana. Luci a San Siro per una finale di Champions non se ne vedranno più, almeno fino al 2027. Decisione alla ceca, quella di Praga? Niente affatto, era tutto previsto. L’Esecutivo Uefa boccia la finale di Champions 2027 a Milano causa “alto rischio”. Parliamo di rischi strutturali legati a un impianto per noi fantastico ma per la Uefa obsoleto e quindi pericoloso che per quella data potrebbe essere un cantiere aperto con tanto di umarèll, il gruppo di anziani meneghini che vanno a controllare i lavori in corso. Nella motivazione di revoca della sede della finale la Uefa scrive: «Poiché il Comune di Milano non può garantire che lo stadio di San Siro e i suoi dintorni non saranno interessati dai lavori di ristrutturazione nel periodo della finale della Champions League del 2027, è stato deciso di non assegnare la finale a Milano e di riaprire la procedura di gara per designare una sede idonea, con una decisione prevista per maggio-giugno 2025». Il “San Siro gate” si ingrossa e adesso la palla avvelenata data la portata dell’evento riguarderebbe più l’Europarlamento che il Comune di Milano. Neppure sotto gli austriaci avremmo assistito a simili vessazioni. Mentre il resto d’Europa e del mondo progetta e costruisce stadi nell’arco di una stagione, vedi il ristrutturatissimo e monumentale Bernabeu del Real Madrid, per non parlare del megaimpianto futuristico del River Plate, il Mas Monumental appena inaugurato a Buenos Aires, da noi ci vuole un anno per sedersi a un tavolo tarlato di Palazzo Marino e accennare timidamente al “problema stadio”. Perché perfino nella ipertecnologica e grattacielata Milano lo stadio è una grana, senza fine, ma soprattutto una matassa politica inestricabile. Una vicenda da ultimo stadio sul serio, con un tutti contro tutti che ha imbarazzato persino la Uefa dello sgamatissimo presidente Ceferin. Da Milano a Nyon il passo è breve e le chiacchiere di corridoio sono arrivate chiare e forti e queste sono imbarazzanti. Come le ultime elucubrazioni della sovrintendente Emanuela Carpani, in merito al “vincolo”, quello del secondo anello del Meazza, che scatterebbe nel 2025 e dopo 70 anni dalla realizzazione dell’impianto, “potrebbe essere alleggerito ma solo se la struttura fosse privata”.
Se Milan e Inter, come la Juventus ma anche il Sassuolo e l’Udinese fossero proprietarie del loro impianto di gioco, in cui portano 70mila spettatori di media e introiti milionari anche quando giocano contro il piccolo grande Empoli, gli interventi sarebbero stati rapidi e indolori e avrebbero consentito persino di mantenere la sede della finalissima di Champions 2027.
Invece la palla viene rimbalzata da un ufficio all’altro con il sindaco Beppe Sala, che oltre a piangere per le buche sull’asfalto metropolitano che fanno di Milano la “Roma del nord”, invoca l’Agenzia delle Entrate per sapere quali siano “i valori effettivi” per mettere al bando lo stadio e le aree circostanti (vedasi costruzione di case popolari all’ombra del Meazza). L’asta tosta stenta a decollare anche solo in fieri, perché l’impasse tra progetti di ristrutturazione e quelli per un impianto nuovo di zecca da edificare a fianco al vecchio San Siro sta diventando una chimera.
Le proiezioni e i preventivi di spesa dei gruppi che si sono alternati negli studi di fattibilità, fatti fuori uno a uno come nei talent show, sono materia da numerologia. Oltre confine il dibattito ha preso la forma della narrazione da barzelletta di Gino Bramieri specie quando si racconta della rinuncia definitiva a uno “stadio a testa”: l’Inter a Rozzano e il Milan a San Donato Milanese. Addio o mia bella Madonnina. Tra un po’ quando si parlerà di San Siro succederà che la politica, specie sulla sponda del Naviglio di centrosinistra si rifarà alla tradizione chiamandolo “la cosa” e la destra risponderà con il “sarchiapone” di Walter Chiari. Insomma dopo aver fatto ridere tutta Milano con il “Derby dello stadio che non c’è”, adesso facciamo sganasciare tutti i tifosi dei cinque continenti. “Milano a un passo dall’Europa” cantava Lucio Dalla, sì ma un passo indietro, e pure senza finale di Champions 2027.

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