giovedì 3 maggio 2012
Blitz anticamorra contro il racket del mare. Dal 2003 i clan Falanga, Di Gioia-Papale e degli scissionisti imponevano tangenti a chi lavora al porto.
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​La camorra, Emanuele Nocerino, ce l’ha nel sangue: oggi ha 18 anni ed è uno dei destinatari dei 23 ordini di custodia cautelare emessi nell’ambito dell’operazione che ieri notte ha sgominato il racket del mare a Torre del Greco. Ma a 16 anni girava armato e controllava già un giro di affari di 80mila euro, frutto delle estorsioni ai danni degli operatori del porto della cittadina famosa per la lavorazione del corallo. Nocerino, spavaldo e determinato, nonostante sia da mesi rinchiuso nel carcere minorile di Airola, nel Beneventano, vanta un ruolo di spicco: riscuoteva i soldi per conto del clan, ma tratteneva per sé somme consistenti che gli consentivano di fare la bella vita e riempire di regali la fidanzata, come rivelò lui stesso durante un colloquio in carcere con il fratello e la sorella, che pure gli chiedevano di smettere con il racket per evitare guai peggiori. Si sapeva infatti che qualcuno dei taglieggiati aveva denunciato tutto e stava collaborando con i magistrati. Eppure il giovane si sentiva a tal punto sicuro di sé da affermare che una volta fuori dal carcere sarebbe andato a chiedere la tangente proprio al proprietario del distributore di carburane che stava raccontando ai carabinieri delle estorsioni e delle minacce cui erano sottoposti gli operatori del porto. «Quello è uno scemo, è un bacchettone e tiene un sacco di soldi...», andava ripetendo. A Nocerino l’ordinanza è stata notificata in carcere dai carabinieri del Nucleo investigativo di Torre Annunziata. Il provvedimento rientra nell’inchiesta coordinata dalla Dda di Napoli sul cartello camorristico che aveva l’esclusiva del racket del pizzo nel porto di Torre del Greco. L’accusa per tutti e 23 è di estorsione continuata aggravata dal metodo mafioso. In carcere è finita anche una donna, Patrizia Avvoltoio, 42 anni, che aveva un ruolo paritario rispetto agli altri, nella riscossione del pizzo. Da anni i clan Falanga, Di Gioia-Papale e dei cosiddetti scissionisti, frangia staccatasi dai Di Gioia, tutti operanti a Torre del Greco, imponevano il pizzo a locali pubblici, attività di pesca, allevatori di cozze, pescatori di corallo, ormeggiatori e commercianti: lavori e imprese che ruotano intorno e sul mare, in pratica il cuore dell’economia torrese. E nessuno poteva sfuggire agli estorsori: chi si rifiutava di pagare oltre alle minacce rischiava di vedere distrutta la barca, incendiato il locale, tolto con la forza il pescato. Le indagini della sono durate diversi mesi e ricostruiscono gli affari controllati dai clan dal 2003 a oggi. La quota era fissa, 5mila euro all’anno per ciascuna attività, da versare prima dell’estate. Anche negli anni della guerra tra i Di Gioia-Falanga e gli scissionisti la somma da pagare era invariata e alcuni imprenditori cercavano di mediare per ottenere sconti, evitando di arrivare al raddoppio della somma. Ma quattro operatori del porto, stanchi di essere taglieggiati, hanno cominciato a denunciare. Dai loro racconti sono partite le indagini, continuate grazie alle intercettazioni e alle verifiche sul campo.
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