La ministra della Giustizia, Marta Cartabia, durante l'intitolazione del carcere di Bergamo all'ex cappellano Fausto Resmini, morto per Covid - Ansa
Al carcere ha dedicato la vita, letteralmente. Il nome di don Fausto Resmini, indelebile volto sociale della Chiesa a Bergamo, è ora impresso anche nel nome della casa circondariale cittadina, dove per una trentina d’anni ha servito da cappellano.
Vicino ai detenuti e costante riferimento anche per operatori e agenti, don Resmini s’è spento un anno fa, il 23 marzo del 2020, strappato alla vita dal Covid nei giorni più bui per Bergamo, a 67 anni. Ieri, alla presenza della ministra della Giustizia Marta Cartabia e del capo dipartimento dell’amministrazione penitenziaria Bernardo Petralia, oltre che delle autorità locali, s’è tenuta la cerimonia di intitolazione del penitenziario al sacerdote bergamasco. «Un gesto tutt’altro che formale», lo ha definito Cartabia: «Il nome esprime un’identità. Intitolare il carcere di Bergamo a don Fausto Resmini significa fare propri i suoi insegnamenti, farne tesoro, custodirli e mantenerli vivi».
Commozione, quella che la perdita del prete lascia tutt’oggi, e riflessione. L’incontro era l’insegnamento concreto di don Resmini, formatosi in quella palestra di vita, fede e missione che è il Patronato San Vincenzo di Bergamo, negli insegnamenti di don Bepo Vavassori per cui ora si sta percorrendo la causa di beatificazione.
L’incontro, appunto, per il sacerdote bergamasco era quello con gli ultimi, ma anche con le vittime, percorrendo un ideale di giustizia differente: «Quello riparativo è un aspetto della nostra giustizia ancora tutto da sviluppare – è stato appunto un passaggio dell’intervento di Marta Cartabia –. Come ho avuto modo di dire anche in Parlamento, mi sta molto a cuore e desidero sostenere attraverso l’azione di governo, per quanto sarà nelle mie possibilità».
Ieri, tra l’altro, la titolare della Giustizia ha riferito della ripartenza della campagna vaccinale nelle carceri: «Oggi siamo chiamati a farci carico prioritariamente della salute di chi opera negli istituti penitenziari e di chi ne è ospitato per proteggere tutta la comunità carceraria – ha rimarcato l’ex presidente della Corte costituzionale, che aveva avuto modo di conoscere don Resmini proprio durante il suo periodo alla guida della Consulta –. Ci auguriamo che il vaccino possa dare sollievo a tutti nella speranza possa costituire sia protezione da un virus così insidioso e luce capace di alleviare le non meno faticose sofferenze psicologiche che la pandemia ha portato con sé».
Nel carcere di Bergamo l’immunizzazione è già avanti, il primo giro di somministrazioni si avvia alla conclusione; erano 527, a fine marzo, i detenuti presenti nella struttura, a fronte di una capienza regolamentare di 315 posti; 34 le donne presenti nel reparto femminile, visitato ieri da Cartabia. Duecento circa gli agenti di polizia penitenziaria in servizio.
«Andava nei luoghi della sofferenza, favoriva l’incontro, credeva nel recupero», è il commosso ricordo consegnato da Teresa Mazzotta, direttrice della casa circondariale bergamasca. Un luogo di speranza è la Comunità Don Milani di Sorisole, fondata da don Fausto e dedicata al recupero di minori e giovani con un passato già difficile alle spalle; ieri la ministra ha visitato anche questa struttura, che proficuamente collabora con circuito della giustizia: qui è stata accolta dai ragazzi, ne ha ascoltato le storie e s’è fermata per il pranzo, nel solco del dialogo che don Resmini ha coltivato sino all’ultimo. E anche oltre, attraverso i suoi insegnamenti.