Sono quasi mille le realtà che gestiscono beni confiscati alle mafie. Associazioni, cooperative sociali, parrocchie, diocesi, gruppi scout, è la bella Italia che concretamente dice no alle mafie. Solo le buone pratiche di riutilizzo sociali dei beni tolti ai clan, nate grazie alla legge 109 del 1996 che proprio oggi compie 26 anni, una legge nata dopo le stragi di Capaci e via D’Amelio, sulla linea indicata da Falcone e Borsellino (“Per vincere le mafie bisogna seguire i soldi”) e che completava la legge Rognoni-La Torre che aveva introdotto la confisca dei beni.
Risultati positivi raccolti nel dossier “Fattiperbene” realizzato da Libera che nel 1992 raccolse un milione di firme a sostegno della legge. Buone pratiche diffuse in tutto il Paese, in 18 regioni e in più di 350 comuni.
Perché se le mafie sono diffuse dal Sud al Nord, così lo è anche l’antimafia sociale. E neanche il Covid ha bloccato la lotta contro i patrimoni mafiosi: nel periodo agosto 2020-luglio 2021 i sequestri dei beni sono stati 8.785 (valore 1.905 milioni di euro) con un +49% rispetto anno precedente e 4.246 le confische (valore 1.731 milioni di euro) +136%.
E’ davvero un popolo positivo e variegato quello censito da Libera. Sono 947 soggetti diversi impegnati nella gestione di beni immobili confiscati alla criminalità organizzata. Più della metà è costituita da associazioni (505) mentre le cooperative sociali sono 193 (con 5 cooperative dei lavoratori delle aziende confiscate e 16 consorzi di cooperative). Tra gli altri soggetti gestori del terzo settore, 15 associazioni sportive dilettantistiche, 33 enti pubblici (tra cui aziende sanitarie, enti parco e consorzi di Comuni che offrono dei servizi di welfare sussidiario), 40 associazioni temporanee di scopo o reti di associazioni, 58 realtà del mondo religioso (diocesi, parrocchie e Caritas: 46 al Sud e Isole, 9 al Nord e 3 al Centro), 26 fondazioni, 16 gruppi scout e 27 istituti scolastici. La regione con il maggior numero di realtà sociali è la Sicilia con 267, segue la Calabria con 148, la Lombardia con 141, la Campania 138.
Un mondo in crescita. Nel 2016, anno della prima mappatura di Libera, erano 524, in sei anni sono cresciuti dell’81%. Incrementi maggiori si sono registrati in Puglia +108% e Lazio +82%. Da registrare la Sardegna passata da 1 soggetto gestore del 2016 agli 8 di quest'anno. Nella ricerca Libera ha ricostruito la tipologia degli immobili gestiti: il 41% riguarda soprattutto appartamenti; il 21% ville, fabbricati su più livelli e di varia tipologia catastale; il 17% terreni agricoli, edificabili e di altra tipologia (anche con pertinenze immobiliari); il 12% locali commerciali o industriali, capannoni, magazzini, locali di deposito, negozi, uffici. Per quanto riguarda le attività che si svolgono: 55% welfare e politiche sociali, 27% promozione culturale, sapere e turismo sostenibile, 11% agricoltura e ambiente, 4% produzione e lavoro, 3% sport. Numeri che rappresentano solo una parte delle “ricchezze” tolte ai clan.
Secondo i dati dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (al 25 febbraio 2022) sono 19.002 i beni immobili destinati ai sensi del Codice antimafia e sono invece in totale 22.238 gli immobili ancora in gestione da parte dell’Agenzia e in attesa di essere destinati. Sono invece 1.649 le aziende destinate mentre sono 3.449 quelle ancora in gestione. E i sequestri non sono più solo appannaggio del Sud, dove nel triennio 2019/2021 i procedimenti sono stati il 44% del totale ma al Nord si è arrivati al il 25%, dato in crescita. Nel triennio sono stati iscritti 246 nuovi procedimenti in Sicilia, 218 in Calabria, 184 in Campania ma sono rilevanti anche in Lombardia (115), in Puglia (86) ed in Piemonte (74). I distretti giudiziari di Reggio Calabria (166), Napoli (164) e Palermo (152) risultano quelli con il numero maggiore di nuovi procedimenti iscritti nel triennio.
Nell’area Centronord, invece, il maggior numero di iscrizioni si registra per i distretti di Milano (91), Torino (74), Bologna (55) e Roma (49).
Ottimi risultati ma il dossier di Libera avanza alcune proposte urgenti per “fare un scatto in più”: prevedere l’attuazione della riforma del Codice Antimafia del 2017 assicurando una gestione efficiente dei beni sin dalla fase del sequestro fino alla confisca definitiva, una maggiore celerità nelle procedure di destinazione e l’attribuzione di adeguati strumenti e risorse agli uffici giudiziari e all’Agenzia nazionale; rendere il riutilizzo pubblico e sociale dei beni confiscati uno strumento di crescita e sviluppo economico per le comunità territoriali, tramite adeguate forme di progettazione partecipata e di collaborazione tra Enti locali e terzo settore; aumentare la trasparenza delle Pubbliche Amministrazioni, attraverso la piena e completa accessibilità alle informazioni riguardanti i beni confiscati, affinché sia da stimolo per la partecipazione democratica; utilizzare una quota del Fondo unico giustizia, delle liquidità e dei capitali sequestrati e confiscati a mafiosi e corrotti per sostenere il percorso di destinazione e di assegnazione dei beni confiscati e promuovere forme di imprenditorialità giovanile, di economia sociale e mutualismo; tutelare il lavoro nelle aziende sequestrate e confiscate, sostenendo la rinascita di queste esperienze e la loro continuità produttiva, anche attraverso la costituzione di cooperative promosse dagli stessi lavoratori.