Gli danno una penna, gli chiedono, alla fine, di lasciare il suo pensiero su un foglio, che poi conserveranno. Neanche pensa troppo, lo scrive, lo legge e quasi si commuove. «Più che le parole, servono i gesti. Più che parlare, serve amare. Ho visto tanto amore nei volti emaciati di alcuni bambini, di donne e uomini a cui è stata rubata la dignità e, se fosse possibile, persino l’immagine di Dio che è in loro. Resta l’amore, lo sguardo, la mano che stringe la mano di un fratello o di una sorella. Anch’io voglio restare con voi».
Il cardinale Gualtiero Bassetti sta per andarsene da 'Mondo migliore', Centro di accoglienza straordinaria destinato alla relocation a Rocca di Papa, che ospita trecentosessanta migranti (quarantadue dei quali trasferiti qui dal Cara di Castelnuovo di Porto) ed è gestito dalla cooperativa sociale “Auxilium”.
Il presidente della Cei vi ha trascorso il pomeriggio, ieri, e con lui anche padre Enzo Fortunato, direttore della Sala stampa del Sacro Convento di Assisi. È voluto venire a trovare questa gente. Poi, in serata, sale in macchina e si porta via tante cose, un’immangine su tutte: «Quel bambino che chissà quanto ha patito, che danzava davanti a me, che teneva la sua manina nella mia».
Scopre il salone dove si mangia tutti insieme, le cucine, le stanze dove vivono anche diverse famiglie. Scopre l’ambulatorio, dove un equipe di medici, psicologi e paramedici visita, segue e assiste chiunque arrivi qui, bambini, donne, uomini, famiglie: «Nemmeno il buon samaritano si attenne alla legge, fece molto di più», dice Bassetti al responsabile. Si trattiene a lungo nel piccolo emporio, dove gli ospiti possono spendere i due euro e mezzo al giorno cui hanno diritto, chiede, ascolta, saluta, è curioso, colpito.
Entra in un’aula dove s’insegna l’italiano, raccomanda ai ragazzi d’imparare bene la nostra lingua, che è formidabile mezzo d’integrazione: «Per guardarsi negli occhi, per comunicare cuore a cuore, bisogna comunicare umanamente, fra noi». Entra in un’altra grande sala, quella dei giochi per i bambini, e anche qui si ferma a lungo. Gioca un po’, guarda i disegni che hanno fatto i piccoli, sorride con loro. Infine nell’auditorium incontra tutti, gli ospiti, le donne e gli uomini della Auxilium: «Prima di venire qui mi ero fatto un’idea di cosa poteva essere la vostra comunità – spiega -, ma con la mia fantasia non ero riuscito a capire tutta la bellezza, la ricchezza, l’umanità che c’è fra queste mura».
Va avanti. Parla della «dei canti dei bambini e dei grandi» che gli «hanno toccato il cuore». Perché «può essere facile cantare quando siamo abbastanza spensierati. Ma un’umanità ferita che canta e ha il coraggio di stare insieme è veramente un grande miracolo della Provvidenza. Veramente una speranza. Una speranza viva. E non per il futuro, ma qui, in questo momento».