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Barbara, 35 anni, vive sola, ex commessa disoccupata: «Il Sms? Pensavo a un errore»
Bologna Barbara è un’ex commessa bolognese. 35 anni, gli ultimi 15 passati a vendere abbigliamento in città. Poi il Covid, la crisi, un susseguirsi di contratti sempre più brevi e sottopagati, infine una brutta esperienza con un datore di lavoro che non l’ha pagata per mesi e che l’ha resa disoccupata. È subentrata una crisi personale: «non riuscivo più a vendere, avevo gravi attacchi di ansia», dice. Barbara tenta allora di rispolverare il suo sogno di ragazzina, quello di fare la pasticciera, «ma non trovavo nessun corso specifico che potessi permettermi: erano tutti a pagamento e costavano migliaia di euro, che non avevo». Nessun familiare a cui chiedere aiuto, la disoccupazione che finisce, Barbara è preoccupata, ma navigando su internet in una notte insonne scopre di poter richiedere il Reddito di Cittadinanza. «Si fa fatica a conoscere i propri diritti », osserva: «è un paradosso, nessuno ti dice se hai diritto a qualche aiuto, devi sempre scoprirlo da solo».
E da sola inoltra la domanda all’Inps, che viene accolta: «questo accadeva sette mesi fa», spiega. Da subito pensa che la misura sarà, per lei, temporanea: «percepivo 780 euro al mese, a Bologna gli affitti sono cari, pago 700 euro per un bilocale: mi era chiaro che non potevo certo smettere di cercare lavoro», dice. Tutto sommato, però, «sapevo di avere ancora qualche mese di tempo per trovarlo». Giovedì pomeriggio, invece, la doccia fredda: «ero appena rientrata dall’ennesimo colloquio di lavoro. Ho ricevuto un sms sul cellulare e, in contemporanea, un’ e-mail, che mi informavano che il mio RdC sarebbe stato sospeso dal primo agosto». Barbara pensa subito a un errore: «mi sono messa a cercare sul web, trovavo notizie discordanti. La mattina successiva sono corsa alle Poste, ho prelevato i 100 euro prelevabili e ho cominciato a telefonare a tutti: Inps, Comune, Centro per l’impiego, Patronati. Nessuno mi ha fornito una risposta esaustiva e certa». Poi, la conferma: nessun errore.
«Mi hanno detto che solo chi ha figli minori a carico o disabilità, propria o di un familiare, sarà oggetto di una misura simile. Io riceverò aggiornamenti per proseguire un percorso di inserimento lavorativo, ma non mi è stato detto né quando, né quanto percepirò. Mi è crollato il mondo addosso», racconta. «Non dormo da due giorni, il mio primo pensiero è stato l’affitto: non posso sgarrare, l’ho già pagato in ritardo una volta e il padrone di casa mi ha detto che non tollererà la seconda », spiega. «Ho provato a scaricare il testo del decreto, sperando di trovare qualche cavillo a mio favore, ma ci ho capito poco. Ho chiesto un appuntamento ai servizi sociali, mi hanno detto che sono oberati di casi come il mio, spero che mi richiamino». In questi sette mesi, «non ho avuto alcuna offerta di lavoro. Mi sono stati proposti dei corsi, che ho fatto, ma nessuno di mio gradimento o che abbia avuto sbocchi concreti. Ho un Isee a zero, se verrò sfrattata non saprò dove andare, non ho nemmeno un’auto», dice. Questa è la sua paura più grande, perdere la casa: «a Bologna, per l’affitto, chiedono fino a sei mensilità di anticipo e molte garanzie, che io non potrei dare. In effetti, non potrei nemmeno pagare: sono davvero angosciata».
I giovani sposi senza figli: «Ma oggi il lavoro di Gennaro non basta per pagare l’affitto»
A Scampia, la riforma del Reddito di cittadinanza varata dal governo Meloni rischia di avere effetti perfino ancor più devastanti di quelli che avrà nel resto della città in cui tanti ex percettori hanno manifestato prepotentemente il loro dissenso per aver perso quel sussidio che per anni gli ha consentito in qualche modo di sbarcare il lunario. Lì – in quella estrema periferia di Napoli nella quale la disoccupazione supera il 50% – vivono molti dei 21.500 nuclei familiari che, tra Napoli e provincia, hanno ricevuto l’sms con cui l’Inps ha comunicato loro la sospensione della domanda del Reddito di cittadinanza «in attesa eventuale presa in carico dei Servizi sociali».
E lì vivono Gennaro e Maria, una coppia di giovani novelli sposi di questo enorme quartiere di edilizia popolare da oltre 40mila abitanti. Anch’essi perderanno il sussidio che li ha sostenuti in questo ultimo difficile anno per le famiglie italiane. Quel sussidio che ha permesso loro di mettere su famiglia e pagare ogni mese un affitto di 420 euro. Ben sapendo a cosa sarebbero andati incontro, già nei mesi scorsi i due si sono messi alla ricerca di un lavoro. «Gennaro – racconta Lucia – lavora da qualche tempo in un bar. Guadagna poco. Il Reddito di cittadinanza ci consentiva di aggiungere a quei pochi soldi quegli altri che ci consentivano di vivere. Ora non sappiamo bene come sarà il nostro futuro e come ce la caveremo ad agosto... C’è molta confusione in giro: non sappiamo nemmeno se riusciremo ad avere i 350 euro che il governo vuole dare a noi “occupabili”».
Anche Maria, dopo aver coronato il suo sogno di sposarsi e mentre aspetta di poter coronare quello di avere un figlio, non sta con le mani in mano e cerca di dare il suo contributo. Nei giorni scorsi, ha chiesto un appuntamento al suo parroco, don Francesco Minervino. Lo ha pregato di aiutarla a trovare un lavoro e, probabilmente per la prima volta, gli ha chiesto di ricevere il pacco della Caritas. « Devo dare anch’io il mio contributo – dice –. Sono anche tra le persone che hanno sottoscritto il Patto per il lavoro con il Comune di Napoli. Mi prendo cura del verde del quartiere. Ma ora ho bisogno di un lavoro: di un lavoro “dignitoso”. In passato sono stata dipendente di un’impresa di pulizia: lavoravo dal lunedì al sabato dall’alba fino al pomeriggio per 500 euro al mese. Una mia amica ha lavorato 12-13 ore in un ristorante per 20 euro al giorno. È lavoro questo? Io lo chiamo, senza troppi giri di parole, sfruttamento».
Con molta schiettezza, Maria non nasconde l’amarezza per come il governo in carica ha messo mano alla riforma del Reddito di cittadinanza e per il clima di scherno e disapprovazione nei confronti dei percettori del sussidio montato negli ultimi anni nel Paese. «Ci danno il Reddito, ce lo tolgono, dicono che è “metadone di Stato”, ci chiamano “fannulloni”, infine ci dicono di trovarci un lavoro… In Germania non è così. Noi siamo solo persone che vogliono una vita dignitosa. Nient’altro».