martedì 11 giugno 2024
Boom di minori che pubblicizzano prodotti sui social. Lo psicologo e psicoterapeuta, Matteo Lancini, presidente della fondazione Minotauro: «È un sintomo del sovrainvestimento sui piccoli»
Un bambino utilizza TikTok in una foto di repertorio

Un bambino utilizza TikTok in una foto di repertorio - Ansa

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Sono giovani, in molti casi ancora bambini, che pubblicano video in cui pubblicizzano prodotti. In cui mostrano il proprio abbigliamento firmato in pose che imitano quelle degli adulti o in cui insegnano come truccarsi e quali creme e maschere usare per il viso. Lo fanno attraverso un profilo personale o quello dei propri genitori. Diventano virali e popolari. Generano visualizzazioni e introiti: lavorano. È il fenomeno sempre più diffuso dei baby influencer. Secondo i dati raccolti da "Save The Children", in Italia 336mila minorenni tra i 7 e i 15 anni hanno avuto esperienze di lavoro. Se i settori principali riguardano la ristorazione e la vendita al dettaglio nei negozi, non è trascurabile l’emergere di nuove forme di lavoro online. Riguarda il 5,7% dei giovani impiegati nella realizzazione di contenuti per social o videogiochi, e nella rivendita di prodotti (specialmente sneakers, smartphone, sigarette elettroniche).

«Quel fenomeno – spiega lo psicologo e psicoterapeuta, Matteo Lancini, presidente della fondazione Minotauro – che una volta era legato a qualche bambino prodigio, che fosse un calciatore o un pianista, ora si è diffuso enormemente e ha fatto sì che sempre più bambini, per capacità adatte al tempo e un po' spinti dai genitori, diventino famosi con le loro performance online, rendendo più ricchi mamma e papà e diventando modelli di riferimento per altri bambini». Lancini, esperto del mondo giovanile, sottolinea come questo avvenga in una società «in cui c'è una precocizzazione dei comportamenti – basti pensare ai concorsi di bellezza per bambine – e una spettacolarizzazione dei figli. È un sintomo del sovrainvestimento sui bambini, ma è un fenomeno che fuoriesce dai social». Incentivare un ragazzino a stare davanti alla telecamera e creare contenuti per Instagram o TikTok non è molto diverso, insomma, dall’obbligarlo a fare nuoto a tutti i costi. Accentando la provocazione, la domanda di fondo è chiara: «Questo sovrainvestimento avviene, come ora si dice spesso, perché i bambini sono troppo amati o, come sostengo, perché oggi dei giovani non ce ne frega niente e servono solo a farci sentire genitori adeguati e insegnanti che stanno facendo il proprio mestiere?».

Lancini ritiene sia troppo presto per valutare l’impatto psicologico che avrà sui minori. «Bisognerà vedere poi che evoluzione avranno nella loro storia. Per alcuni questo tipo di eventi potrà portarlo a costruirsi un'identità futura. Una questione è: “Come saranno aiutati a gestire la frustrazione legata al fallimento così precoce di un successo conquistato ancora più precocemente?”».
Secondo il presidente di Assoinfluencer, il primo sindacato di categoria, Jacopo Ierussi, non è un fenomeno nuovo. «Le baby starlet nel mondo dell’intrattenimento e dello spettacolo ci sono sempre state. Basti pensare a Macaulay Culkin del film “Mamma ho perso l’aereo”».

Riconosce però che sia un fenomeno complesso con le sue peculiarità. «Dobbiamo garantire che chi mette piede da minorenne in questi contesti venga tutelato. C’è un problema che non riguarda solo la commercializzazione d'immagine, ma anche l’esposizione mediatica di questi giovanissimi, che si lega anche a questioni relative alla privacy e alla futura evoluzione della persona che potrebbe porre un problema in più rispetto a chi in passato era il volto della Kinder». Si apre anche un tema economico. «C'è un modo diverso per apostrofare questo tipo di situazioni, se non con “cattiva genitorialità”? Quale padre, quale madre si approfitta del proprio figlio? Il fatto che un genitore abbia fatto sì che quel ragazzo sfruttasse un’opportunità non l'autorizza a gestire impunemente quei guadagni che, in alcuni casi, arrivano a superare i 100mila euro l’anno. Per luglio saranno conclusi i lavori che stiamo facendo con il tavolo tecnico Agcom per quanto riguarda nuovi codici di condotta per la tutela dei minori e i baby influencer».

E anche in Parlamento arrivano da più parti politiche le prime proposte di legge per regolamentare il fenomeno dei baby influencer. Spiega l’avvocata Valentina Fiorenza, esperta in diritti digitali: «Al momento a livello normativo non c’è nulla di “nuovo”. Il minore in una situazione ordinaria non può lavorare. Tra le eccezioni c’è lo spettacolo, ed è ciò che più si avvicina al fenomeno dei baby influencer. In quel caso, però, il minore, ad esempio, non può andare in onda dopo una certa ora, con i social c’è una connessione quasi continua». A livello normativo c’è anche la questione dell’età consentita per l’uso dei social. «In Italia il minore può prestare consenso all’uso delle piattaforme dai 14 anni», spiega Fiorenza. «Prima la “responsabilità” è del genitore. Diverso è il caso in cui sia il genitore stesso a mostrare le immagini del figlio, per cui si parla di sharenting. Dovrebbe fare l’interesse preminente del minore: va bene una foto ogni tanto, ma è problematico condividere in maniera ossessiva queste immagini, anche perché può mettere i bambini in condizioni di pericolo».

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