La tentazione c’è ancora, nonostante siano passati più di 60 giorni dall’insediamento del governo: guardarsi indietro, chiedersi se davvero un decreto scritto in sostanza da lui e da M5s - un Movimento nato sul web meno di dieci anni fa - sia diventato legge dello Stato. È accaduto, e l’entusiasmo intorno al giovane leader nelle salette del Senato potrebbe deragliare in un clima da spogliatoio dopo la vittoria di una coppa. Ma i provvedimenti, quando ne hai la responsabilità, si pesano, non si contano. Il vicepremier nonché superministro del Lavoro e dello Sviluppo economico Luigi Di Maio ne sta assumendo via via consapevolezza. E perciò se qualcuno dei parlamentari o dello staff vuole esagerare nell’esultanza, si scontra con il suo sguardo contrariato: «È solo l’inizio. Intorno a questo governo ci sono enormi aspettative. Dobbiamo onorare le promesse fatte in campagna elettorale. Abbiamo degli obiettivi prefissati e li porteremo a termine». A partire dal reddito di cittadinanza che - è l’avviso alla vigilia del vertice di stasera sulla manovra a Palazzo Chigi - «è una priorità e non è una misura assistenzialista».
A caldo lei ha detto «cittadini uno - sistema zero, questo è il primo decreto non scritto dalle lobby». Si riferiva in particolare all’azzardo?
Sì, con il divieto alla pubblicità del gioco d’azzardo abbiamo toccato proprio gli interessi delle lobby. Non ci siamo fatti intimidire e siamo andati avanti compatti. Non potevamo più permettere che i cittadini venissero incentivati all’azzardo, un vizio che sempre più spesso degenera in una vera e propria patologia: in Italia ci sono un milione di persone a rischio, tra cui molti minori. Abbiamo applicato lo stesso divieto che è previsto per le sigarette. Una ricerca della Caritas dimostra che l’80 per cento di persone gioca d’azzardo dopo aver visto la pubblicità in tv, il 67 per cento online. Considero questa norma un atto di civiltà che è attuato per la prima volta nell’Unione europea. Finalmente un primato di cui andare orgogliosi. Ed è anche una battaglia che il Movimento 5 Stelle ha portato avanti per anni.
Più tormentato il cammino delle norme sul lavoro, aspramente criticate da industriali e, alla fine, anche dai sindacati.
Noi siamo dalla parte di chi vuole fare impresa in un modo nuovo e contro quelli che io chiamo 'prenditori'. Vogliamo che le imprese crescano e si sviluppino. Questo è possibile farlo se le persone hanno soldi in tasca e la serenità per progettare un futuro facendo aumentare i consumi. Il precariato devasta la persona, devasta le famiglie e anche le imprese perché il mercato interno ne risente. Abbiamo messo un freno al precariato, impedendo il rinnovo 'selvaggio' del contratto a tempo determinato, perché siamo convinti che dopo 24 mesi di contratto un imprenditore serio che vuole far crescere la sua azienda deve puntare sulla forza lavoro che ha testato e, se valida, assumerla a tempo indeterminato. Finalmente siamo in media con i Paesi europei: in alcuni Stati il limite è di 18 mesi. È un primo modo per incentivare l’utilizzo del contratto a tempo indeterminato che vogliamo far tornare di moda. A questo proposito, sul costo del lavoro siamo già intervenuti con 300 milioni di euro per le assunzioni a tempo indeterminato degli under 35. Stiamo già lavorando con i nostri tecnici per abbassare il costo del lavoro in modo strutturale. È una sfida che vogliamo vincere, che farà ripartire il Paese.
Le opposizioni ritengono che la legge farà aumentare lavoro nero e disoccupazione, specie tra i giovani.
Questa misura invece avrà benefici proprio per i nostri giovani: garantendo loro più stabilità, avranno una serenità maggiore per formare una famiglia. In tutte le misure che portiamo avanti tengo sempre ben presente il problema della crisi demografica, che è una vera e propria disgrazia per l’Italia. Ci tengo a sottolineare che ci sono tutte le modalità per prorogare i contratti a tempo determinato. Se dovesse emergere una situazione non chiara, relativa al periodo di conversione del decreto, siamo pronti ad intervenire.
Sul fronte dei diritti, quando intende battere un colpo su lavoro domenicale e festivo, come più volte annunciato?
Intendo rivedere le liberalizzazioni e le misure in- trodotte dal decreto Monti e dal Pd, che hanno permesso agli esercizi commerciali italiani di eliminare il giorno di chiusura settimanale e le regolamentazioni degli orari di apertura. Queste misure hanno favorito l’alienazione dei tempi di vita e lo sfaldamento del nucleo familiare del negoziante e dei dipendenti, un sacrificio che si è rivelato inutile alla luce degli incassi, che sono sempre gli stessi, mentre la qualità di vita di chi lavora è peggiorata. La mia proposta è individuare 12 giorni festivi l’anno e Comuni e Regioni potranno decidere, in base alle loro specifiche esigenze, di chiudere un quarto degli esercizi commerciali per sei giorni. La domenica e durante le feste le famiglie hanno tutto il diritto di stare insieme: questo è il principio che voglio affermare con questa norma.
Stasera un nuovo vertice sulla manovra. Cosa serve per creare occupazione?
Punteremo a semplificare l’iter amministrativo per le imprese, vogliamo risolvere il problema dei ritardi nei pagamenti della Pa. Soprattutto, puntiamo ad essere il governo che rende conveniente fare impresa in Italia. Quindi abbassare il costo del lavoro stabile, favorire la formazione che serve a realizzare un veloce inserimento lavorativo. C’è troppa distanza tra le professionalità che le aziende cercano e quello che invece offre oggi il mercato. E poi c’è la riforma dei Centri per l’impiego, su cui poggeranno le politiche per il lavoro.
Sarà davvero la manovra il test per l’esecutivo gialloverde?
Il test a livello politico io lo faccio nelle piazze. Anche se siamo al governo continuiamo ad incontrare i cittadini, spostandoci di città in città. L’accoglienza è commovente. Le persone ci stanno sostenendo perché vedono finalmente che c’è una forza politica che fa i loro interessi e che rispetta quanto promesso in campagna elettorale. Inoltre, stando ai sondaggi, segnalo che questo governo ha un consenso attorno al 70 per cento. La manovra sarà l’occasione per concretizzare il contratto di governo nelle sue parti economiche.
A proposito di questo punto, i mercati “chiedono” un chiarimento già adesso su deficit e debito pubblico...
Con il ministro dell’Economia stiamo facendo un lavoro approfondito e di comune accordo, un lavoro che rispetterà quanto scritto nel contratto di governo. È ormai palese a tutti, perfino ai burocrati europei, che la strada dell’austerità ha portato l’Ue ad una grande crisi. Le ricette economiche legate a dogmi indissolubili si sono rivelate fallimentari non in linea teorica, ma dal punto di vista pratico. Quindi, com’è logico, si deve cambiare rotta anche a livello comunitario. Lo spread è un numero, come il Pil, che da solo non serve a misurare la felicità di un Paese o le performance della sua economia. Ci sono parametri, anche in Europa, totalmente e forse volutamente ignorati che potrebbero ribaltare i rapporti di forza tra Paesi. Quindi stiamo parlando di scelte politiche che necessariamente dovranno cambiare a Bruxelles.
Cosa significa, in concreto, “avvio” del reddito di cittadinanza e della flat tax?
Significa che questo governo intende onorare le promesse fatte in campagna elettorale. Il reddito di cittadinanza è una vera e propria manovra economica, non certo una misura assistenzialista, che passerà per la riforma dei centri per l’impiego. Peraltro, forme di reddito di cittadinanza sono attive in tutta Europa tranne che qui da noi e in Grecia. Ho già avuto modo di confrontarmi a livello europeo con il ministro del Lavoro tedesco, dobbiamo ambire a un sistema di centri efficiente come quello teutonico. I cittadini che si recano al centro per l’impiego non dovranno essere trattati come numeri, al contempo un reddito per le persone che si dimostrano attive nella ricerca del lavoro potrà dare serenità e contribuire al rilancio dell’economia. Con la flat tax, invece, si segue quel percorso di semplificazione che abbiamo voluto cominciare con il decreto dignità, eliminando spesometro, redditometro e split payment. Strumenti che erano un processo alle intenzioni più che sistemi di tassazione equa.
Su quota 100 ci sono le attese di un bel pezzo dell’elettorato che si è sentito tradito dalla sinistra. Il governo è pronto? Vogliamo eliminare le pensioni d’oro e riformare il sistema pensionistico nel più breve tempo possibile. Con noi esistono solo i diritti. I privilegi, come i vitalizi che abbiamo eliminato alla Camera, scompaiono. Quindi basta pensioni d’oro e aumentiamo la pensione a chi non riesce ad arrivare a fine mese. Anche qui, ciò che è stato fatto dai passati governi si è rivelato un boomerang soprattutto per i cittadini italiani. Ricordo ancora come la riforma Fornero sia stata annunciata come la panacea per i mali dell’Italia ai tempi di Monti, quando invece di rispondere a un attacco speculativo di enormi proporzioni decisero di piegarsi al mantra europeo delle riforme lacrime e sangue. Da allora i conti pubblici non sono migliorati, perché l’economia non si rilancia tagliando tutto, ma facendo investimenti. Sarà un lavoro lungo, perché dovremo combattere contro chi continuerà a ripeterci che non si può fare, ma siamo al governo e dimostreremo che non è così.
Tav, Tap, Ilva. In questi giorni il governo gialloverde è sembrato andare in tilt su tutti i dossier caldi.
Nel contratto di governo è previsto di ridiscutere la Tav e il ministro Toninelli sta agendo in quest’ottica. Anche sulla Tap stiamo lavorando perché i cittadini devono essere ascoltati: il presidente del Consiglio Conte ha incontrato il sindaco di Melendugno, cosa che il suo predecessore non ha mai fatto, perché per noi la voce dei territori va presa in grandissima considerazione. Ma la questione più imminente è senz’altro l’Ilva di Taranto, che rappresenta l’esempio più lampante della totale inadeguatezza di chi ci ha preceduto: anni e anni di decreti, una gara piena di criticità come evidenziato dall’Anac, un contratto stipulato con una società senza aver prima firmato l’accordo sindacale, un disastro ambientale prolungato nel tempo, migliaia di lavoratori a rischio salute, un problema occupazionale mai gestito. Ora, in tre mesi, mi si chiede di risolvere ogni aspetto. Ce la metteremo tutta, ma sia ben chiaro che questo governo non intende fare sconti a nessuno.
C’è una responsabilità di chi governa anche sul clima nel Paese. Non pensa che serva una “moratoria” delle parole sul razzismo?
Quello che serve al Paese è ciò che sta realizzando il governo Conte: l’Europa deve farsi carico del problema immigrazione nella sua interezza con atti concreti e non solo a parole.
Per lei, quindi, M5s e Lega arrivano a fine legislatura.
Questo è un governo che ha sottoscritto un contratto che garantisce i cittadini e le forze politiche che lo sostengono. Il dibattito è vivo ma è sempre corretto e riguarda temi che non sono nel contratto. Abbiamo obiettivi prefissati e che vogliamo portare a termine. Il governo è solido e sta cambiando in meglio il Paese. E siamo solo all’inizio.