Alla fine a passare è la linea di M5s, almeno sul capitolo scuola. Anche perché non poco ha pesato l’assenza dei big della Lega dal vertice di ieri mattina a Palazzo Chigi sull’autonomia differenziata. Sia i ministri leghisti (ad eccezione di Erika Stefani che ne ha la delega), che il sottosegretario Giancarlo Giorgetti infatti hanno addotto motivi personali che li portavano fuori Roma, ma è stato soprattutto lo strappo che si è consumato due giorni fa tra i due partiti di governo (che ieri il premier Conte ha tentato di ricucire) a non aver consentito per ora di mettere tutti intorno ad un tavolo.
Ci si proverà di nuovo all’inizio della prossima settimana con all’ordine del giorno due nodi del testo autonomia che non sono stati sciolti ieri – le sopraintendenze e il riparto dei fondi – ma certo il primo stop alla regionalizzazione dell’assunzione dei docenti (fortemente sostenuta della Lega) è un boccone amaro da digerire per il Carroccio. Come pure per i governatori delle Regioni – Zaia e Fontana in testa – che hanno votato a favore dell’autonomia meno di due anni fa.
Il famoso articolo 12 del testo Stefani che prevedeva appunto l’assunzione diretta dei docenti su base regionale – regionalizzando di fatto il comparto istruzione – è stato soppresso e così non ci sarà nessun trasferimento di risorse dallo Stato alle regioni con riferimento all’istruzione. Una strada battuta sin dall’inizio da M5s, adducendo nella precedente riunione anche un profilo di incostituzionalità sulla base della sentenza della Corte Costituzionale 76/2013 (redatta allora da Sergio Mattarella). Il premier Conte assicura che «sono stati fatti significativi passi in avanti» sull’autonomia e di star lavorando su questo fronte e sul fisco. La direttrice seguita è appunto «conservare funzionalità nella direzione strategica e nell’efficacia operativa dello Stato per tutti i grandi temi». Ecco perché si è scelto di seguire la linea di una scuola «non frammentata». Ma sia chiaro, avverte Giuseppe Conte, «i governatori non avranno tutto quello che hanno chiesto».
Tuttavia la trattativa all’interno del governo per lui è così avanti che, ottimisticamente, il presidente del Consiglio pensa addirittura di riuscire a portare il provvedimento sull’autonomia nel prossimo Cdm. Sempre se riuscirà, nel prossimo incontro, a trovare la quadra anche con la Lega. Secondo fonti di palazzo Chigi, il ministro Marco Bussetti e la stessa Erika Stefani sarebbero usciti soddisfatti dal Cdm di un’ora, tanto da ringraziare il premier per la mediazione svolta. Le uniche parole che, in realtà, il ministro Stefani pronuncia a fine vertice però sono solo su quei punti in cui il suo partito non è stato messo al tappeto. «Su sanità, ambiente, sviluppo economico sono state accolte le richieste delle regioni – ha spiegato – Una svolta per il territorio, per i cittadini e per le imprese». Poi la puntualizzazione in vista del nuovo incontro della prossima settimana: «L’autonomia funziona però se c’è quella finanziaria. Non accetteremo nessun compromesso».
Compromesso che non sono disposti a sottoscrivere neppure il governatore leghista del Veneto Luca Zaia e quello della Lombardia Attilio Fontana, pronti alle barricate. Nel silenzio sul tema di Salvini, a difendere la posizione autonomista sono perciò proprio i due governatori. «Resto basito davanti all’ennesimo rinvio – tuona il primo – noi veneti ne abbiamo le tasche piene di questa storia». Di Conte però, «non di Salvini», precisa. Non ci va più leggero il suo collega lombardo: «Abbiamo perso un anno in chiacchiere. Se le premesse sono queste, da parte mia non ci sarà alcuna disponibilità a sottoscrivere l’intesa».