COSA È L'AUTONOMIA DIFFERENZIATA
L'autonomia differenziata è una possibilità di cui possono fruire le Regioni interessate in base all'articolo 116 della Costituzione, che prevede "ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie di cui al terzo comma dell'articolo 117 - le cosiddette materie a legislazione concorrente, sono 23 in tutto, ndr - e le materie indicate dal secondo comma del medesimo articolo alle lettere l, limitatamente all'organizzazione della giustizia di pace, n e s". La Carta specifica che l'autonomia può essere attribuita a una Regione con legge dello Stato approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata.
LE FUNZIONI CHE POSSONO ESSERE TRASFERITE
La Regione può chiedere che siano trasferite le funzioni ora esercitate dallo Stato su una o più di queste materie: giustizia di pace; norme generali sull'istruzione; tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali; rapporti internazionali e con l'Unione europea delle Regioni; commercio con l'estero; tutela e sicurezza del lavoro; istruzione, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale; professioni; ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all'innovazione per i settori produttivi; tutela della salute; alimentazione; ordinamento sportivo; protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia; previdenza complementare e integrativa; coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale.
LA RICHIESTA FORMALE DI LOMBARDIA, VENETO ED EMILIA-ROMAGNA
Nel 2017 Lombardia e Veneto hanno tenuto un referendum in cui ha prevalso la proposta di chiedere l'autonomia differenziata allo Stato. Anche l'Emilia Romagna ha avanzato analoga proposta attraverso una delibera della Giunta regionale. Da allora, vari disegni di legge sull'autonomia differenziata sono state redatti dai governi di turno, ma nessuno è andato in porto.
I PUNTI-CHIAVE DEL DDL GOVERNATIVO
Il governo di centrodestra ha pre-approvato ieri, 2 febbraio, un disegno di legge promosso dal ministro leghista per gli Affari regionali, il leghista Roberto Calderoli. Il testo è stato sottoposto a varie correzioni da parte degli esponenti di governo di Fratelli d'Italia e Forza Italia. Non si tratta ancora del disegno di legge definitivo, poiché il testo finale dovrà avere parere positivo della Conferenza Stato-Regioni. Solo allora potrà tornare in Consiglio dei ministri per il varo definitivo. Il ddl esaminato il 2 febbraio fissa il principio per cui prima vanno definiti i Lep - livelli essenziali delle prestazioni - validi per tutta l'Italia, poi si stipulano le intese con le Regioni (se esse riguardano anche materie soggette a Lep). Inoltre, indica i tempi e l'iter con cui deve essere approvata l'intesa tra lo Stato e la singola Regione. Inoltre si propone di rendere stabile il fondo di perequazione per i territori svantaggiati.
PRIMA I LEP, POI LE INTESE
L'accordo raggiunto il 2 febbraio in Consiglio dei ministri prevede che la definizione dei Lep avvenga attraverso una cabina di regia, il cui lavoro confluirà in vari Dpcm (Decreto della presidenza del Consiglio dei ministri) sui quali il Parlamento potrà esprimere soltanto un parere non vincolante. Si tratta di un punto molto osteggiato dalle opposizioni, dai sindacati e da pezzi della società civile, perché il Parlamento risulterebbe estromesso dal processo che deve definire quale sia il livello essenziale delle prestazioni per tutti i cittadini italiani su temi cruciali come scuola e sanità. Tuttavia, in Consiglio dei ministri è stata aggiunta una norma importante: se dalla definizione dei Lep emergerà la necessità di destinare risorse economiche finalizzati appunto a raggiungere tale livello essenziale delle prestazioni, prima andranno varati i finanziamenti, poi si potrà procedere con le intese. Si tratta di un meccanismo che da un lato sembrerebbe prevenire fughe in avanti di Regioni già oggi avanti nel livello dei servizi offerti, dall'altro rappresenta un fattore di ulteriore rallentamento dei progetti autonomisti di alcune Regioni.
IL LUNGO ITER DELLE INTESE
Avendo scelto la strata del disegno di legge, i tempi dell'esame parlamentare sono indefiniti, senza "termine ultimo". Per arrivare a un'intesa tra Stato e Regione occorreranno mesi se non anni. Intanto occorre attendere il ddl definitivo e l'esame - imprevedibile - delle Camere, che potranno apportare modifiche. Contestualmente, occorrerà attendere la definizione dei Lep, per i quali ci si è dati il tempo di un anno, entro fine 2023. Una volta approvato il ddl-quadro, e definiti i Lep, le Regioni potranno iniziare ad avanzare la loro richiesta di autonomia. La richiesta dovrà confluire in un'intesa Stato-Regione che poi andrà vagliata dalla Conferenza Stato-Regioni e dal Parlamento, che avrà 60 giorni per esprimere un parere d'indirizzo. Dopo tutti questi passaggi l'intesa tornerà in Cdm e sarà ritrasmessa alle Camere sotto forma di disegno di legge, che andrà approvato a maggioranza assoluta.
I NODI POLITICI
Il ddl autonomista nasce soprattutto per la spinta della Lega, mentre trova resistenze sia in Fratelli d'Italia sia in Forza Italia, che hanno un elettorato distribuito anche nel Centro-Sud. Per il Carroccio il pre-esame del ddl è stato un risultato da esibire in vista delle imminenti elezioni regionali in Lombardia, dove la Lega potrebbe subire un sorpasso da parte del partito di Giorgia Meloni. Allo stesso tempo, Fdi non vuole accelerare sull'autonomia se non vedrà passi avanti sul progetto di riforma costituzionale caro alla premier, quello presidenzialista, che non raccoglie entusiasmi invece nella Lega. Insomma, una partita doppia. E pesa, in questa circostanza, il fronte compatto delle opposizioni sul "no": Terzo polo, Pd, M5s e sinistra-verdi stavolta parlano con una voce sola contro il ddl autonomista.