domenica 21 gennaio 2024
Mercoledì nuova udienza preliminare: unico imputato, per omicidio colposo, un funzionario del Pam (che oppone l’immunità). Ma la ricostruzione dell’agguato non convince la famiglia
Luca Attanasio con alcuni giovani congolesi. La foto proviene dal profilo Facebook della moglie dell'ambasciatore

Luca Attanasio con alcuni giovani congolesi. La foto proviene dal profilo Facebook della moglie dell'ambasciatore - ANSA

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Dopo cinque rinvii, mercoledì a Roma dovrebbe svolgersi finalmente (il condizionale è d’obbligo) l’udienza preliminare del processo per la morte di Luca Attanasio, l’ambasciatore italiano ucciso in Congo il 22 febbraio 2021 mentre viaggiava in un convoglio del Programma alimentare mondiale. Con lui furono assassinati il carabiniere di scorta Vittorio Iacovacci e l’autista Mustapha Milambo.

Sul banco degli imputati ci sarà Rocco Leone, vicedirettore dell’agenzia Onu in Congo: è chiamato a rispondere di omicidio colposo, perché avrebbe dovuto garantire la sicurezza della missione insieme a un altro funzionario, Mansour Rwagaza (imputato anche lui, risulta irreperibile). Secondo la procura di Roma i due avrebbero omesso le precauzioni necessarie (e previste da rigorose procedure).

Il convoglio non era scortato, nonostante dovesse attraversare una zona ad alto rischio come quella del Kivu, dilaniata da un conflitto decennale. Il Pam (che dal 1961 ha sede proprio a Roma) ha fatto scudo ai suoi due funzionari, opponendo l’immunità diplomatica. Una questione pregiudiziale che, se accolta dal giudice, metterà fine al processo ancora prima di entrare nel merito dell’accusa.

In udienza la procura chiamerà però a deporre due funzionari del ministero degli Esteri: spiegheranno come si sia ormai radicato un diritto consuetudinario che di fatto invece escluderebbe, in casi del genere, l’immunità prevista dalla Convenzione Onu. La famiglia Attanasio è parte offesa, ma ha rinunciato a costituirsi come parte civile dopo aver accettato un risarcimento milionario dal Pam. Il padre di Luca, Salvatore Attanasio, ha spiegato di aver preso questa sofferta decisione per il bene delle nipotine rimaste orfane, sottolineando tuttavia che «la verità è tutta da scrivere».

In Congo un processo sbrigativo ha condannato all’ergastolo cinque banditi per l’agguato - un sesto è stato rilasciato ed è stato ucciso di lì a poche settimane -, senza spiegare né il movente né tantomeno la dinamica. A quasi due anni di distanza dall’agguato, nonostante le indagini del Ros e della procura di Roma, non si sa ancora come siano andate davvero le cose.

Secondo quanto ricostruito finora, il convoglio sarebbe stato fermato sulla strada nazionale Rn2, a pochi chilometri da Goma. Uomini armati avrebbero giustiziato subito l’autista, per poi trascinare l’ambasciatore e il carabiniere nella boscaglia, forse – si è detto - a scopo di sequestro. Il gruppo si sarebbe però imbattuto nei ranger del parco Virunga, l’area protetta più antica d’Africa, e sarebbe scoppiata una sparatoria.

A questo punto però è nebbia fitta. Inizialmente si parlò anche di fuoco amico, ipotesi poi smentita. Attanasio e Iacovacci (che provò a proteggere l’ambasciatore) sarebbero stati raggiunti da numerosi colpi, sparati non si sa da chi.

«Sembra difficile che siano stati assassinati da banditi comuni – osserva Rocco Curcio, legale della famiglia Attanasio – perché vedendo i rangers le vittime sarebbero corse verso di loro e probabilmente sarebbero state colpite nell’immediatezza, e non soltanto dopo il conflitto a fuoco, come invece è emerso. Sequestro andato male? Se rapisci qualcuno e vuoi chiedere un riscatto fai di tutto per salvaguardarlo… No, non sono stati colpiti a casaccio: noi crediamo che si sia trattato piuttosto di omicidio volontario. È probabile che abbiano voluto colpire proprio l’ambasciatore».

Chi e perché? L’avvocato Curcio sta raccogliendo elementi su alcune piste concrete: «Una volta trovati i dovuti riscontri, li consegneremo alla procura. Ma è una fase davvero complessa, il riserbo è d’obbligo. Ci sono diversi aspetti delicati, sotto ogni punto di vista. Parliamo di uno scenario difficile, in cui si muovono enormi interessi politici ed economici, non sempre limpidissimi».

La parte orientale del Congo è un far west che l’esercito di Kinshasa non riesce a controllare. Bande armate e avventurieri si muovono in un territorio ricchissimo di risorse naturali, oro e coltan su tutti. Ma in quella zona, a ridosso di Rwanda e Uganda, abbondano anche petrolio e gas naturale.

Proprio il Fronte democratico per la liberazione del Ruanda (Fdlr), uno dei gruppi armati che spesso sconfina, fu additato dal governo congolese come responsabile dell’agguato. Ma il gruppo smentì subito, con tanto di comunicato: « È stata un’esecuzione pianificata». E scaricò la colpa sull’esercito ruandese.

Secondo alcune testimonianze, gli aggressori indossavano divise militari di cui poi si sarebbero liberati. A ingarbugliare ulteriormente il quadro ci sono anche altre dinamiche tutte da chiarire, legate a finanziamenti umanitari provenienti da soggetti decisamente “opachi”, già toccati in passato dalle tangenti provenienti dall’Azerbaigian.

Un fiume di denaro che inondò alcuni ambienti politici europei, e che in parte finì anche a Malta: una pista su cui indagava la giornalista Daphne Caruana Galizia, saltata in aria nel 2017. «Un puzzle molto complicato», commenta l’avvocato Curcio, che però ha in mano la tessera giusta da cui partire. «Abbiamo già depositato una perizia balistica svolta da un nostro consulente. Non posso rivelare i risultati, posso solo dire che sono diversi da quelli cui sono giunti i carabinieri».

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