martedì 13 febbraio 2024
Il gup di Roma accoglie la tesi difensiva del Pam: i due funzionari accusati di non aver garantito la sicurezza dell'ambasciatore godono dell'immunità. Le delusione dei familiari
L'ambasciatore Luca Attanasio con alcuni giovani congolesi

L'ambasciatore Luca Attanasio con alcuni giovani congolesi

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«Non luogo a procedere». Con quattro parole il gup di Roma Marisa Mosetti ha deciso di non rinviare a giudizio Rocco Leone e Mansour Rwagaza, i due funzionari del Pam accusati dalla procura di omicidio colposo per non aver adeguatamente garantito la sicurezza dell’ambasciatore Luca Attanasio, ucciso in un agguato nel nord est del Congo insieme al carabiniere di scorta Vittorio Iacovacci e all’autista Mustapha Milambo, il 22 febbraio 2021.

Non ci sarà nessun processo, dunque non si potrà nemmeno entrare nel merito delle accuse. Il Pam, organismo Onu che dal 1961 ha sede proprio a Roma – e che da sempre ha nell’Italia uno dei suoi principali sostenitori - ha alzato lo scudo dell’immunità sopra la testa dei suoi due funzionari e la giustizia italiana ha preso atto, anche sulla scorta di un parere della Farnesina, secondo cui il diritto consuetudinario internazionale depone a favore della mancanza di responsabilità dei dipendenti Onu. «Non luogo a procedere per difetto di giurisdizione» ha stabilito il gup. Persino in un caso di triplice omicidio come questo, la cui dinamica non è mai stata chiarita, anche perché offuscata da contraddizioni, omissioni e reticenze assortite. Nelle settimane scorse l’Onu aveva alzato il pressing, facendo capire all’Italia (senza tanti complimenti) che se avesse perseverato sulla strada penale sarebbe andata incontro a gravi violazioni dei trattati sottoscritti. Trasparenza e ricerca della verità sono state sacrificate sull'altare della diplomazia e degli equilibri sottili tra Nazioni Unite e Stati membri.

«È mancato il coraggio» ha sintetizzato amaramente Salvatore Attanasio, papà di Luca, subito dopo la sentenza. Quello che invece assicura di avere lui, nonostante tre anni di umiliazioni e porte in faccia. “Non ci fermeremo, questo è certo. Non importa contro chi dovremo andare. Oggi ha perso la giustizia, ma si è anche sprecata un’occasione per far valere la dignità del nostro Paese”. Papà Attanasio punta il dito verso lo Stato, che ha rinunciato a costituirsi parte civile nel processo. “Nonostante tante promesse sulla ricerca della verità, l'Italia si è tirata indietro al primo scoglio. Eppure è stato ucciso un suo rappresentante, insieme a un suo servitore e al povero autista. Ci sono troppi elementi che stridono in questa vicenda, che non può scivolare nell'oblio”.
La procura ha subito raccolto l'appello della famiglia, presentando ricorso in Corte d'appello contro la decisione del gup. Come ripete papà Salvatore, "si è persa una battaglia. Ma la guerra va avanti".

Anche i familiari di Iacovacci sono comprensibilmente disorientati, ma nemmeno loro vogliono arrendersi: "C'è forte delusione e amarezza. Prendiamo atto della sentenza e attendiamo i prossimi passi della procura''.

Di diverso tenore il commento dell'avvocato Bruno Andò, difensore di Rocco Leone: ''Accolgo con soddisfazione l'esito dell'udienza, con cui il gup ha riconosciuto in capo agli imputati l'immunità funzionale dalla giurisdizione accogliendo la tesi che la difesa ha proposto sin dall'inizio dell'udienza preliminare e che ha trovato conferma nelle considerazioni sviluppate in udienza dai rappresentanti del Ministero degli Esteri e della Cooperazione Internazionale''.

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