mercoledì 22 maggio 2024
Antonio e Nicola Diana, imprenditori campani del settore dei rifiuti, sono stati prosciolti con formula piena. L’accusa era concorso esterno in associazione mafiosa: il pm chiedeva 7 anni e 6 mesi
Nicola (a sinistra nella foto) e Antonio Diana

Nicola (a sinistra nella foto) e Antonio Diana

COMMENTA E CONDIVIDI

Assoluzione con formula piena, «perché il fatto non sussiste», per i fratelli Antonio e Nicola Diana, imprenditori casertani, esempio positivo nel riciclaggio dei rifiuti, proprio nella “Terra dei fuochi”, dove il settore è ancora oggi inquinatissimo dalla camorra e da imprenditori collusi. Il 19 gennaio 2019, a sorpresa, vennero arrestati, e finirono ai domiciliari, con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Secondo la Dda di Napoli avrebbero favorito il clan camorrista di Michele Zagaria, riciclando denaro sporco, in particolare assegni, e ottenendo in cambio protezione e vantaggi imprenditoriali.

Ad accusarli solo le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, spesso in contraddizione tra loro, ma nessun riscontro documentale (gli assegni non sono mai stati trovati) né intercettazioni. Dall’altro lato c’era il loro lavoro, sempre corretto, e l’impegno antimafia, che li aveva fatti diventare un simbolo nel territorio. Per il pm, che aveva chiesto 7 anni e 6 mesi, questo impegno era invece solo una copertura e i fratelli dei manipolatori della verità. Anche quando avevano denunciato attentati, minacce, danneggiamenti e furti. Per i pm erano falsi.

Eppure Antonio e Nicola sono figli di Mario Diana, imprenditore, vittima innocente di mafia, ucciso il 26 giugno 1985 a Casapesenna, suo paese ma anche “regno” di Zagaria, per aver detto di “no” alle pretese della camorra («era una persona perbene», disse la moglie di un camorrista). La stessa camorra che, secondo l’accusa, invece i figli avrebbero favorito. Al punto che oltre all’arresto, la Dda aveva ottenuto anche il sequestro dell’azienda, poi annullato dopo pochi mesi dalla Cassazione per “vuoti motivazionali”. Ma “l’odissea giudiziaria”, come l’hanno definita ieri i difensori Claudio Botti e Carlo De Stavola, è durata cinque anni solo per il processo di primo grado, preceduta da ben cinque anni di indagini. Ora la parola “fine” del tribunale di Santa Maria Capua Vetere (Caserta), presieduto dal presidente Luciana Crisci.

«Mi sento più leggero. Sono sereno ma lo sono sempre stato. Ho sempre creduto nella giustizia», commenta Nicola, mentre Antonio, presente ieri col fratello come a tutte le udienze, cerca di vedere il lato positivo. «Sto leggendo tutti i messaggi di affetto che ci stanno arrivando. Di fronte a questo, allora valeva la pena affrontare anche tutta questa lunga sofferenza. Lo abbiamo capito in questi anni da tanta gente che non ci ha abbandonati». A partire dai dipendenti. Ieri era presente una delegazione dei lavoratori, circa 150, che operano nei vari settori del ciclo dei rifiuti, dal modernissimo impianto per la selezione, uno dei più avanzati d’Italia, a quello per il riciclaggio delle bottiglie di Pet. Un’azienda che, malgrado il Covid, ha continuato ad assumere, soprattutto giovani e qualificati. Ad appena 18 anni avevano preso in mano l’attività del padre, facendola crescere sulla strada della legalità e della buona economia. Al punto da essere indicati come esempio dalle associazioni ambientaliste, in particolare Legambiente che spesso li ha avuti come partner di iniziative. È poi nata la Fondazione intitolata al papà, che si occupa di emarginati, educazione, e di sostegno a nuove attività imprenditoriali per i giovani, in collaborazione con alcune diocesi campane e dicasteri vaticani. Perché la loro è anche una storia di profonda fede.

«Oggi - dicono - saremo a Cascia per la festa di Santa Rita. Per ringraziarla, perché anche quando la nostra sembrava proprio una “causa persa”, ci ha aiutato a continuare a credere nella giustizia». E lo hanno fatto in questi anni sempre in modo composto, difendendosi “nel processo” e non “dal processo”. Ma da entrambi non può mancare una riflessione proprio sulla giustizia. «L’assoluzione rappresenta una vittoria del diritto alla difesa e della presunzione di innocenza, principi che devono rimanere saldi anche di fronte alle più gravi accuse. In un'Italia che lotta ogni giorno contro la piaga della mafia, questa sentenza ci ricorda che la giustizia deve essere esercitata con prudenza e integrità, garantendo che ogni individuo venga giudicato equamente e solo sulla base di prove concrete. Solo così potremo sperare di costruire una società più giusta e libera dalla criminalità organizzata».

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: