giovedì 27 marzo 2025
Dall'analisi emerge una «preoccupante contrazione»: gli operatori diminuiscono e perdono competitività rispetto ad altri Paesi Ue anche a causa del maggiore peso fiscale in Italia
Il ministro della Cultura, Alessandro Giuli, durante il convegno organizzato dal Gruppo Apollo sul mercato dell’arte in Italia

Il ministro della Cultura, Alessandro Giuli, durante il convegno organizzato dal Gruppo Apollo sul mercato dell’arte in Italia - Ansa

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L'industria dell’arte italiana, pur avendo generato nel 2023 un giro d’affari diretto pari a 1,36 miliardi di euro e un impatto economico complessivo di 3,86 miliardi di euro, sta vivendo una lenta ma preoccupante contrazione: a lanciare l'allarme è il secondo Rapporto Nomisma, realizzato in collaborazione con Intesa Sanpaolo e presentato a Roma alla presenza di Alessandro Giuli, ministro della Cultura. In risposta a queste criticità «verrà abbassata l'Iva», ha assicurato Giuli nel suo intervento.

Il ministro fa riferimento al nodo fiscale che vede l'Italia svantaggiata rispetto ad altri Paesi. Come mostra il rapporto, infatti, negli ultimi anni le 1.618 gallerie d’arte e i 1.637 antiquari attivi sul territorio nazionale hanno visto diminuire progressivamente il proprio numero e il proprio fatturato reale a causa non solo dell’aumento dei costi operativi, ma anche per via di un sistema fiscale non allineato a quello degli altri Paesi europei e gravato dall’aliquota Iva più elevata a livello comunitario. Se per esempio la Francia ha deciso di estendere dal primo gennaio 2025 il regime agevolato del 5,5% a tutte le transazioni artistiche, incluse le importazioni e le cessioni, e di conseguenza la Germania ha ridotto la propria aliquota al 7%, in Italia invece la cessione di opere d’arte è soggetta all’aliquota ordinaria del 22%, appunta la più alta dell'Ue. Questo significa - come è stato sottolineato - che per la stessa opera d’arte un collezionista pagherebbe fino al 18% in più acquistandola in Italia piuttosto che in Francia. Il risultato è che una parte degli operatori italiani comprime i propri margini per restare competitiva e i giovani artisti migrano verso gallerie straniere.

«La riduzione del regime fiscale è una battaglia storica che l'attuale governo ha ingaggiato da tempo perché è evidente che l'Italia rappresenta un'eccellenza, non solo dal punto di vista del patrimonio ma anche della dinamicità - ha spiegato Giuli -. Oggi siamo a un bivio che rischia di diventare un punto di non ritorno. Per cui posso dire senza indugio che siamo vicini a ottenere quel risultato che tutto il settore del mercato dell'arte sta aspettando da tempo». Giuli assicura poi che «senz'altro il ministero dell'Economia è d'accordo con noi e le coperture verranno trovate».

Secondo le stime presentate da Nomisma, mantenendo ai livelli attuali l’aliquota Iva il settore potrebbe perdere fino al 28% del fatturato complessivo, con punte del -50% per le piccole gallerie. Al contrario, se l’Italia decidesse di abbassare al 5% l’Iva sulle transazioni artistiche in un solo triennio il fatturato complessivo generato da gallerie, antiquari e case d’asta crescerebbe fino a raggiungere circa 1,5 miliardi di euro, con un effetto positivo sull’economia italiana stimato fino a 4,2 miliardi di euro.

«Il mercato dell’arte contribuisce in modo significativo alla ricchezza del nostro Paese. Tuttavia dobbiamo riconoscere che siamo ancora lontani dal nostro pieno potenziale», ha commentato Alessandra Di Castro, presidente del Gruppo Apollo che rappresenta l’industria dell’arte in Italia e ha promosso il rapporto. «Non si tratta solo di proteggere un settore economico, ma di difendere un presidio culturale fondamentale per l’identità del nostro Paese», ha aggiunto infine Roberta Gabrielli, responsabile Marketing di Nomisma.



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