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Chiediamo a ogni deputato, di maggioranza e di opposizione, di aggiungere la propria firma a quella degli attuali promotori, per sostenere il cammino parlamentare di questa proposta di legge in vista di una sua approvazione entro l’attuale legislatura...». È l’accorato appello di Grazia Zuffa, ex parlamentare e presidente dell’onlus “La società della ragione”, in favore della proposta di legge costituzionale che punta a innovare gli articoli 72 e 79 della Carta «in materia di concessione di amnistia e indulto». Il testo, depositato alla Camera lo scorso 2 aprile col numero 2456, è firmato dai deputati Riccardo Magi (+Europa), Enza Bruno Bossio (Pd), Roberto Giachetti e Gennaro Migliore (Italia viva), e si compone di soli 2 articoli, in grado di incidere chirurgicamente sulla procedura di ap- provazione dei provvedimenti collettivi di clemenza: «La revisione costituzionale proposta non mira alla concessione di una legge di amnistia e indulto, ma a riscrivere le regole per la sua deliberazione», considera Zuffa, in un appello che verrà diffuso oggi e al quale aderiscono, fra gli altri, le associazioni “Nessuno tocchi Caino” e “Antigone”, ma anche le toghe di Magistratura democratica e l’Unione delle camere penali.
L’asticella del quorum. L’amnistia, com’è noto, costituisce una causa di estinzione del reato, mentre l’indulto è una causa di estinzione della pena. Con la prima, pertanto, lo Stato rinuncia ad applicare la pena, col secondo invece si limita a condonarla, in tutto o in parte, ma senza cancellare il reato. Entrambi sono provvedimenti generali con efficacia retroattiva (a differenza della grazia, che è individuale e viene concessa dal presidente della Repubblica), ossia non si applicano ai reati commessi dopo la presentazione del disegno di legge. Attualmente, dopo la riforma costituzionale del 1992 (che ha sottratto al capo dello Stato la concessione di amnistia e indulto, affidandolo in toto al Parlamento), per poterli disporre occorre una legge approvata dai due terzi dei componenti di ciascuna Camera. Un quorum così alto da rendere arduo il ricorso ai due istituti, tanto che dal 1992 a oggi si conta un solo caso di applicazione dell’articolo 79 della Carta (a fronte di decine di provvedimenti di clemenza prima di quella data). «L’attuale maggioranza dei due terzi rende quegli strumenti inutilizzabili, trasformando l’articolo 79 della Costituzione in lettera morta – argomenta il deputato Magi, primo firmatario della pdl –. Noi proponiamo da un lato di delimitare espressamente l’ambito di operatività attraverso il riferimento alle “situazioni straordinarie” e alle “ragioni eccezionali” e dall’altro di conservare un quorum qualificato, comunque più alto di quello previsto per le leggi ordinarie, ma che sia la maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera, non i due terzi».
L’incubo Covid-19. Secondo Magi, «situazioni straordinarie e ragioni eccezionali potrebbero anche essere quelle legate al gravare, sull’affollamento già cronico delle carceri, dell’attuale emergenza Covid». Comunque, puntualizza, «in questa fase noi puntiamo in primo luogo a modificare la Costituzione per rendere utilizzabile questi strumenti». Attualmente, negli istituti di pena italiani si contano 54.815 reclusi, in calo rispetto ai 60mila di prima della pandemia per via di una serie di provvedimenti del ministero di Giustizia: l’ultimo, in gestazione dopo l’allarme su nuovi casi di contagio in alcuni penitenziari, potrebbe riguardare altri 5mila detenuti. «L’esperienza di magistrato di sorveglianza mi permette di capire che anche leggibili provvedimenti di amnistia servono a far tornare il carcere un luogo conforme a Costituzione e utile a recuperare le persone – ragiona con Avvenire Riccardo De Vito, giudice di sorveglianza a Sassari e presidente di Magistratura democratica, che ha sostenuto l’appello –. Recuperare significa costruire sicurezza, mentre lasciare il carcere sovraffollato e privo di risorse può produrre più violenza». Per De Vito la proposta di legge ha un duplice merito: «Potrebbe sottrarre i provvedimenti di amnistia e indulto agli eccessi clemenziali del passato» quando ogni pretesto (dal quarantennale di Vittorio Veneto, nel 1959, al ventennale della Repubblica, nel 1966) «era buono per svuotare un po’ il carcere in carcere e liberare le scrivanie dei giudici » e insieme rimediare «all’attuale astinenza, che ne impedisce l’uso ragionato anche in un momento come questo». Non si tratta insomma, conclude il magistrato, «di dire sì o no all’amnistia, ma di stabilire presupposti verificabili per concederla e anche procedure efficaci».