Anna Foa - Imagoeconomica
«Angosciata e senza parole». Così la storica Anna Foa, autrice di numerose opere di storia moderna, tra le quali diverse sugli ebrei in Europa e in Italia, definisce il suo stato d’animo di fronte a quanto accaduto il 7 ottobre e all’ondata di parole, simboli e atti antisemiti in tutto il mondo: dagli Usa all’ex Urss, passando per l’Europa, Germania, Francia e anche da noi, a Milano e Roma. La distruzione delle pietre d’inciampo, la profanazione dei cimiteri, le parole d’ordine nei cortei «sono certamente antisemitismo e prendono la forma dell’antisemitismo, ma sono anche gli echi di una situazione che ha voluto scatenare questo. Mi domando: come mai sono così forti nel momento in cui c’è stato un attacco così forte contro gli ebrei, contro Israele. È come se fosse stato più facile sostenere le ragioni di chi ha massacrato».
Che differenza c’è, se c’è, con l’antisemitismo storico?
Il linguaggio che viene ripreso è lo stesso. Le pietre d’inciampo sono recenti, ma colpirle è come infangare la memoria. Dopodiché io penso che la Shoah, anche se pervasa di antisemitismo, non ne sia stato uno sbocco. Certo, l’antisemitismo è stato alla base di quanto ha fatto Hitler, ma la Shoah è stata un dislivello che ha portato tutta una serie di elementi - l’oppressione, la cacciata, i segni distintivi – allo sterminio. Non so se quanto accade oggi porterà a una nuova fase di cui non riusciamo neppure a immaginare i termini. Il 7 ottobre ha cambiato completamente le cose e stranamente ha scatenato questa ondata di antisemitismo.
Perché stranamente?
Il fenomeno è stato meno ampio nel 2014, quando ci sono stati i missili, ma non tanti morti e civili assassinati barbaramente. È come se un numero così alto di vittime, tale da cambiare sostanzialmente la storia, abbia facilitato l’antisemitismo invece di metterlo in dubbio.
Tali fenomeni di odio, non nuovi, hanno conosciuto una recrudescenza. Come mai questo virus che serpeggia riesplode così?
Sì è un fenomeno costante. In questi giorni sono andata a rivedere cosa era successo nove anni fa quando c’è stata l’altra guerra con Hamas. Anche allora c’era stata una ripresa, anche se non così forte e generalizzata. Il danneggiamento delle pietre d’inciampo mi ha creato molta angoscia, perché le sento molto familiari. Ma devo dire che mi ha angosciato molto di più sentire in manifestazioni come quella di Roma parole d’ordine antisemite. Come quella secondo la quale il 7 ottobre i palestinesi hanno ripreso in mano la loro storia. Mi preoccupano di più le manifestazioni che le dissacrazioni.
Perché?
Questa idea dei manifestanti di essere dalla parte giusta e che gli oppressi siano gli abitanti di Gaza - senza fare alcuna distinzione tra Hamas e loro, altrettanto colpiti da questa organizzazione terroristica e dittatoriale - cancella l’orrore del 7 ottobre. Va, invece, ricordato. Non per fare la reciproca conta delle vittime, che è inutile e genera solo odio. Ma per dire che è stata una cosa talmente inesprimibile e diversa da tutto il resto, che ha cambiato il mondo. E va ricordata accanto a quanto sta succedendo a Gaza, con l’auspicio che ci sia una tregua umanitaria per evitare troppi morti nella popolazione.
Queste manifestazioni sono trasversali anche da un punto di vista politico.
Dentro c’è l’estremismo di sinistra, con tutta una serie di accuse a Israele, come quelle di essere coloniale, rimbalzate negli anni. E dentro ci sono anche i cosiddetti rosso-bruni.
Come ha vissuto questi giorni?
Come tutti, non solo ebrei, con grande angoscia. Poi per chi è stato in Israele e ha lì tanti amici e conoscenti la situazione è ancora più sconvolgente, perché il 7 ottobre è stato uno spartiacque nella storia di Israele. E suscita ulteriore ansia in un mondo che ha già conosciuto fenomeni di diversa natura, come la pandemia da un lato, che ci ha fatto sentire tutti più fragili, e dall’altro la guerra della Russia contro l’Ucraina. Nessuna delle persone che conosco è contenta di vedere i morti nella striscia di Gaza, e sicuramente non lo sono io. Da una parte ci si augura che Hamas venga sconfitta, dall’altra che il prezzo, soprattutto di vite dei civili, sia il minore possibile.
Questo clima fa sentire gli ebrei meno al sicuro nel mondo?
In Europa e forse anche nel mondo americano non vedo la situazione così definitiva. Non me la sentirei di drammatizzare al punto di dire che l’Europa non è più sicura. La Francia è un caso a parte, perché c’è un passato post-coloniale e ci sono molti giovani di seconda o terza generazioni provenienti da ex colonie. In Italia è molto diverso e io non posso dire di non sentirmi sicura. Come già successo altre volte, se la situazione in Medio Oriente non diventerà pericolosissima, le cose si acquieteranno e l’antisemitismo tornerà ad essere ciò che è sempre stato: qualcosa che c’è, che non se ne va e che bisogna combattere con la conoscenza, con le parole, con l’educazione. Qualcosa che chiama tutti ad agire. Credo che spiegare e insegnare serva, anche se non basterà mai. La prima reazione quando ho saputo delle pietre d’inciampo non è stata “vorrei picchiare chi le ha rovinate”, ma piuttosto “vorrei guardarlo negli occhi e spiegargli cosa sono”. Ma forse sarò un’illuminista vecchio stampo.